Al via le iscrizioni ai test d’italiano per stranieri. Parte oggi il decreto del governo che prevede la conoscenza dell’italiano come requisito necessario per ottenere il rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno). Gli immigrati residenti in Italia da almeno 5 anni dovranno sostenere la prova, scritta e orale, dopo 60 giorni dalla registrazione. Mancano però i corsi di lingua necessari ad affrontare i test, aumentano i costi delle procedure e c’è ancora poca chiarezza sull’organizzazione: tra i nodi maggiori, proprio la carenza di fondi destinati alle scuole che non saranno in grado di garantire una preparazione adeguata al superamento dell’esame.
Così il test obbligatorio rischia di essere «un ulteriore vincolo burocratico – spiega a Diritto di Critica Augusto Venanzetti, coordinatore della Rete scuole migranti – senza alcun vantaggio per gli immigrati».
Il decreto prevede, infatti, la possibilità che chi frequenti con profitto un corso organizzato dai Cpt (gli unici riconosciuti) sia esentato dai test, ma «i corsi sono già saturi e attualmente non c’è la possibilità di attivarne nuovi», spiega Venanzetti. Inoltre, «molti stranieri – sottolinea Cecilia Pani, della Comunità di S.Egidio, intervistata da Diritto di Critica – già in possesso di una certificazione A2 (livello richiesto per il superamento dei test) rischiano di vedere vanificato il proprio percorso, perché il decreto non prevede il riconoscimento dei corsi organizzati dalle associazioni». Problema ancora più grave, dato che proprio le associazioni assicurano più del 50% dei corsi di lingua nel territorio.
Difficile, poi, stabilire dei criteri di valutazione obiettivi: «Non ci sarà un unico test – continua Cecilia Pani- ma prove diverse scelte dai singoli consigli di classe». Dopo l’eventuale superamento della prova, l’immigrato non otterrà alcuna certificazione d’italiano riconosciuta, «il test sarà a uso e consumo del Ministero e girerà solo tra gli organi di polizia e prefettura per il rilascio del permesso».
Nessun valore aggiunto dunque, ma solo un ulteriore obbligo che aggrava una burocrazia già massacrante. E che non rispecchia un bisogno reale del paese: secondo gli ultimi dati del Censis, l’85% degli immigrati è già in possesso di una sufficiente conoscenza dell’italiano. Ciò che manca è invece una reale progettualità in grado di favorire un vero processo di intercultura e socializzazione.
La preoccupazione maggiore delle associazioni riguarda soprattutto la prova scritta: «Tanti immigrati – aggiunge Cecilia Pani – riescono perfettamente a capire e farsi capire nella quotidianità, ma non scrivono correttamente. Difficoltà ancora maggiore per chi è abituato a lingue che non usano caratteri latini».
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