L'ipocrisia bipartisan delle famiglie "a numero chiuso" - Diritto di critica
Sostegni solo per coppie con figli o orientate alla procreazione. Anzi no, anche alle coppie di fatto, ovvero ai figli nati al loro interno. Perché le coppie di fatto in Italia non hanno riconoscimenti giuridici, nemmeno quelle tra persone di sesso diverso; li hanno invece, ex articolo 30 della Costituzione, i figli nati fuori dal matrimonio. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dopo le prime dichiarazioni alla Conferenza sulla famiglia a Milano, corregge repentinamente il tiro, «perché – spiega – non sono un nazista».
La rettifica non placa comunque le critiche, del mondo laico e di quello lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). E la storia si ripete: anche in occasione della precedente, prima Conferenza sulla famiglia, a Firenze nel 2007, sotto il governo Prodi, non era mancato lo strappo con la comunità omosessuale italiana. E allora, forse, fu pure più doloroso.
Le frizioni sono cominciate già alla vigilia della conferenza di Milano, quando le associazioni e in particolare la deputata del Pd, Paola Concia, hanno accusato gli organizzatori di averli esclusi dagli interventi. Le parole di Sacconi e, in generale, tutti i punti toccati durante la conferenza, non hanno fatto altro che avvalorare le tesi del movimento lgbt: parlando solo di un “modello” di famiglia, quella cosiddetta tradizionale, si escludono tante altre forme di “famiglie” e non solo quelle formate da coppie dello stesso sesso. «È particolarmente grave – spiegano Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay, e Francesca Polo, presidente nazionale di Arcilesbica – il veto di parola all’associazionismo gay che viene da questa conferenza istituzionale e che, per questo, dovrebbe rappresentare tutti i cittadini. Nel discorso di apertura di Francesco Giorgino si è voluto addirittura sottolineare l’inesistenza di una declinazione al plurale delle famiglie italiane contro ogni realtà del Paese e a conferma del fatto che la conferenza, pur essendo pagata da tutti, si rivolge solo ad una parte della società italiana e a Oltretevere».
Interviene anche Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali: «Non ci possono imporre un modello di famiglia – ha dichiarato la sua presidente, Giuseppina La Delfa –. La nostra esistenza è realtà». Come sono realtà i figli di genitori omosessuali: secondo le stime ci sono in Italia oltre 100.000 bambini e bambine nati da persone gay o lesbiche che hanno avuto figli durante precedenti rapporti eterosessuali o ricorrendo alla fecondazione assistita (all’estero). «Quello che fanno è negarci ogni tutela e ogni diritto. Siamo senza diritti, ma con tutti i doveri che spettano ai cittadini. Ignorano innanzi tutto le difficoltà dei nostri figli costretti a convivere con l’omofobia di stato», conclude La Delfa.
La critica non arriva solo dalle associazioni. Anche il mondo politico interviene, muovendo però da altre basi. Rispondendo a Sacconi e a Giovanardi, intervenuto prima del ministro del Welfare con toni ancora più duri, i Democratici – a parte la prevedibile reazione di Paola Concia – hanno ignorato la questione omosessuale, presa in considerazione solo dai “soliti” Radicali che protestavano durante i lavori della conferenza.
Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Il Pd, anche quello di base e “giovane” di Renzi e Civati, sulle istanze lgbt è per lo più freddo o al massimo tiepido. Le platee piddine, quando si parla di matrimoni gay e parità dei diritti, stentano a scaldarsi. E d’altronde alla presidenza di quel partito siede Rosy Bindi che nel 2007, mentre da ministro per le Politiche della famiglia proponeva i DiCo, dal palco del “Laboratorio delle politiche familiari”, rivolgendosi a Paola Concia prima e Paola Binetti poi, disse: «Io so che la conferenza nazionale di Firenze (sulla famiglia, 24-26 maggio 2007), avrà un problema negli inviti perché io non ho invitato le associazioni degli omosessuali e lo dico con molta tranquillità. Faccio questa scelta come segno di chiarezza. Le persone destinatarie dei DiCo non sono legittimate a partecipare. Io questa sfida la prendo, ma dico agli organizzatori del Family Day: non fate confusione andando a manifestare in nome della famiglia contro qualcosa che con la famiglia non ha niente a che vedere».
E solo un paio di mesi prima, intervenendo ai lavori del convegno “tempi moderni e…famiglia”, promosso da Data Management e da Rosanna Lambertucci, Bindi aveva affermato: «La famiglia è tra un uomo e una donna e quindi il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare». Per poi concludere con questa frase, rispolverata di recente, dopo la battuta omofobica di Berlusconi, per completare il “compendio” delle dichiarazioni anti-gay: «è meglio che un bambino stia in Africa, piuttosto che cresca con due uomini, o due donne».
Alla costante e bipartisan negazione delle famiglie gay si addicono le parole di Nichi Vendola sulle forme di espiazione dell’omosessualità lette ieri durante “Vieni via con me”: «violato nella sua dignità e nei suoi diritti nel nome del costume, della religione, dell’ideologia, dell’ordine pubblico, dell’etica».
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