Serbia, se la politica entra nel calcio - Diritto di critica
Mai era successo che la partita della Nazionale venisse sospesa a causa di tifosi violenti. Tanti ricorderanno per molto tempo quelle immagini tristi sugli spalti e il volto coperto di Ivan Bogdanov, capo ultras della Stella Rossa di Belgrado ed estremista di destra. Questa partita, mai giocata, è stata la chiara dimostrazione che dietro al calcio molte volte si nasconde la politica. Ora la Serbia, per colpa di quelli che avrebbero dovuto “supportarla”, rischia serie sanzioni che potrebbero compromettere la sua qualificazione agli Europei 2012.
Le azioni violente dei tifosi serbi erano infatti dettate da precise rivendicazioni nazionalistiche portate avanti di fronte ad un pubblico assolutamente preso alla sprovvista ed incapace di capire cosa stesse davvero accadendo.
Il campo di calcio come occasione per rimettersi in gioco. Non solo in Italia il calcio ha assunto connotati che vanno ben al di là del semplice gesto sportivo. Interessi economici e tante volte politici lo hanno trasformato pesantemente. Sul campo di gioco i paesi di tutto il mondo hanno infatti la possibilità di sfidarsi alla pari. Non vince la squadra appartenente alla nazione più grande, più ricca o militarmente più potente. Vince semplicemente la squadra migliore. Questo significa che paesi, i quali molto spesso non hanno la possibilità di far sentire la propria voce, che vivono ai margini del mondo, che sono esclusi dal nucleo delle grandi potenze, hanno finalmente l’occasione per mettersi in mostra.
Per questo oggi, insieme all’Europa, Africa e Sud America rappresentano i maggiori centri di diffusione di questo sport. È così che in alcuni paesi il calcio diventa anche un vero e proprio strumento nella lotta per il potere.
Quando il calcio non basta si ricorre alla violenza. Laddove l’abilità calcistica non basta, subentra la violenza. Rientra in questo caso l’attentato di qualche mese fa di cui è stata vittima la squadra del Togo. Un attacco effettuato dalle milizie del Fronte per la liberazione del Cabinda che aveva permesso di conquistare l’attenzione della stampa internazionale sui problemi mai risolti dello sviluppo dell’Africa.
Con gli scontri dello scorso 13 ottobre, la partita Italia-Serbia rientra appieno in questa categoria. La Serbia infatti, ha confermato in questa occasione tutte le teorie che sostengono che nei paesi caratterizzati da totale assenza di democrazia o da sistemi democratici fragili, con classi dirigenti più deboli e che non riescono a garantire la piena partecipazione del popolo alle istituzioni, si utilizza il calcio come rimedio, come mezzo per la conquista del potere da parte delle fazioni politiche in lotta.
I serbi protagonisti dei gravi episodi di violenza nello stadio di Genova, salutati dagli stessi giocatori con il saluto cetnico delle tre dita (un gesto che riporta alla mente gli orrori compiuti dall’esercito della Repubblica Srpska di Bosnia, guidata dal presidente Radovan Karadzic e dalla mano insanguinata del generale Ratko Mladic, e quelli contro la popolazione del Kosovo voluti da Slobodan Milosevic), sono esponenti della Stella Rossa e del Partizan, ossia dei partiti contrari all’ingresso della Serbia nell’Unione europea e da questi pagati per venire in Italia.
L’autorevole quotidiano belgradese “Politika” afferma che due boss mafiosi locali, latitanti, un trafficante di cocaina accusato anche di riciclaggio di denaro, e un secondo malvivente leader di una organizzazione criminale sospettata di vari omicidi, rapine, furti di auto e azioni violente, avrebbero pagato 200 mila euro ad una sessantina di “tifosi” per l’organizzazione, il viaggio, l’equipaggiamento e la provocazione dei disordini che hanno portato al mancato svolgimento della partita. Parte del piano, la decisione dei tifosi serbi di dar fuoco, in Eurovisione, ad alcune bandiere del Kosovo, assolutamente estraneo alla partita che si doveva giocare. Non si tratta dunque né di ultras né di semplici hooligans: quello che successo a Genova non ha nulla a che fare con la classica violenza negli stadi. Dietro ci sono solo motivi di natura etnico-politica. Violenti “tifosi” che si fanno portatori di precise rivendicazioni nazionalistiche. Con gli incidenti provocati avevano infatti lo scopo di sottolineare, ancora una volta, che non vogliono far parte dell’Europa e avevano l’obiettivo di provocare un nuovo isolamento internazionale della Serbia.
La partita Italia-Serbia e il Gay Pride di Belgrado: due fatti lo stesso obiettivo. La sospensione della partita Italia-Serbia rappresentava il secondo atto di una manovra politica contro il filo-europeista governo serbo di Boris Tadic. La prima parte della manovra si era concretizzata con l’assalto, sempre da parte degli stessi ultranazionalisti, al Gay Pride che si è svolto due settimane fa a Belgrado. Si trattava di una giornata importante per la Serbia, attualmente osservata speciale dall’Unione Europa, dall’OCSE e da Amnesty International per verificare la presenza di requisiti che sono essenziali per poter entrare a far parte della Ue.
L’adesione alla Ue e alla Nato sono i principali obiettivi del governo Tadic (la cui coalizione di governo si chiama “Per una Serbia europea”), sui quali il presidente serbo era riuscito ad ottenere anche il sostegno statunitense, dichiarato dal Segretario di Stato americano Hilary Clinton in quei giorni in visita a Belgrado. Un premio da parte degli Stati Uniti per i progressi e gli sforzi compiuti dalla Serbia nel dialogo con il Kosovo. Il Gay Pride rappresentava quindi il giusto pretesto per i seguaci di Tomislav Nikolic e Vojislav Seselj, il leader ultranazionalista detenuto e processato all’Aja per crimini contro l’umanità al tempo delle guerre balcaniche, per dare una pessima immagine della Serbia all’opinione pubblica mondiale.
Il calcio internazionale quindi sembra stia diventando lo specchio delle beghe interne dei paesi, dove la politica è spesso incapace di affrontare i problemi nazionali, portandoli, così, letteralmente in campo, di fronte alle telecamere di tutto il mondo. Molti spettatori italiani non hanno capito il senso di quell’assurdo comportamento. Ma il messaggio non era rivolto a loro.
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Era una bandiera dell’albania che ha preso fuoco-.-‘ non del Kosovo…
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Il saluto con le tre dita non è un saluto cetnico. Informarsi bene prima di scrivere.
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Sonja, la ringrazio per il suo intervento.Sarei davvero felice di saperne di più sull'argomento se le andasse di spiegarmi. Sulla base delle richerche che ho fatto, sono riuscita a scoprire che il gesto delle tre dita rappresenterebbe i tre simboli presenti sulla bandiera cetinica, la cui iscrizione dice : ЗА КРАЉА И ОТАЏБИНУ СЛОБОДА ИЛИ СМРТ "Per il Re e la Patria libertà o morte".Altre versioni portano la dicitura: С ВЕРОМ У БОГА СЛОБОДА ИЛИ СМРТ "Con fede in Dio libertà o morte". Secondo un'altra versione: "Dio, Patria e Zar". Un dito indica Dio e questo spiegherebbe perché può essere considerato un gesto religioso.Queste ricerche che ho fatto sono state confermate anche da alcuni quotidiani italiani molto importanti quindi credevo di aver trovato una conferma alle mie tesi. Sarei davvero interessata a conoscere la sua versione. Le questioni riguardanti il significato dei gesti possono essere complesse perché è possibile che il loro significato cambi o si dimentichi nel corso del tempo.
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Il dubbio è lecito, soprattutto perché i cronisti sportivi hanno confuso le bandiere, quindi capisco pienamente la critica. Confermo che la bandiera che è stata bruciata nel corso della partita non era quella dell'Albania ma si trattava esattamente della bandiera degli Albanesi del Kosovo. Il Kosovo da due anni, ossia dal giorno della proclamazione della sua indipendenza (17 febbraio 2008) ha adottato una nuova bandiera. (Inutile dire che niente di tutto questo è riconosciuto dai Serbi). Sotto l'amministrazione delle Nazioni Unite esistevano varie bandiere, ma dato il conflitto tra le etnie, i Serbi del Kosovo usavano quella della Serbia e gli Albanesi del Kosovo quella dell'Albania appunto la bandiera in questione. Nel caso avesse ancora dei dubbi, potrebbe andare a leggere un altro articolo che è stato scritto su questo stesso argomento e pubblicato la scorsa settimana sul Limes (tra le più importanti riviste di geopolitica) dove si conferma che la bandiera bruciata era quella del kosovo. Escludo totalmente che sul Limes possano esserci errori di questo tipo quindi confermo quello che ho scritto.
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