L’uomo che conta gli omicidi bianchi - Diritto di critica
Un blog per ricordare le vittime del lavoro, con un pensiero o un saluto virtuale. “Caduti sul Lavoro” (www.cadutisullavoro.blogspot.com) lo ha fondato tre anni fa Carlo Soricelli, metalmeccanico in pensione, ma anche artista e scrittore di Bologna. Sul blog compaiono ogni giorno le morti in cantiere, in fabbrica e sui campi. E’ l’unico mezzo per conoscere tutte le storie, in diretta. Il rapporto annuale dell’Inail è diverso, mette insieme chi muore in cantiere e chi “in itinere”, mentre si reca sul luogo di lavoro. Ne nasce una gran confusione, perché oltre la metà dei 1000-1200 infortuni mortali contati ogni anno avviene per strada, nel traffico. Il silenzio ufficiale dura mesi, fino al rapporto successivo, dove nomi e facce scompaiono nella statistica. Per questo il lavoro di Soricelli ha un valore particolare: è ricordo e condanna, gesto di responsabilità e di rabbia.
Signor Soricelli, quando è nato “Caduti Sul Lavoro”?
Nel gennaio 2008, dopo la strage della ThyssenKrupp. Mi aveva colpito la sorte degli 8 operai bruciati vivi nella fabbrica torinese, e ho provato a cercare in rete notizie di casi simili. Le più recenti erano vecchie di 6 mesi, un anno: nessuno sembrava occuparsene. Così ho cominciato a monitorare quel che succedeva ogni giorno.
Ne è nato un blog che sembra un diario di guerra. Ma qualcuno l’ha contattata, ha chiesto cifre o commenti?
E’ questa la cosa sconvolgente: non interessa niente a nessuno. Giornalisti, politici e sindacalisti ignorano il problema, tranne quando ci sono morti collettive (vedi Capua, ndr). Poi basta. L’unico che si è interessato al mio lavoro è stato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, mi ha mandato una lettera di complimenti. Nessun altro.
E le visite?
Quelle sono tante: 200mila contatti unici in tre anni, con una media di 200-400 visite al giorno.
Nel suo blog scrive che quest’anno il peggio è avvenuto al Nord.
Sì. La Lega si fregia tanto di essere presente sul territorio, e di difendere gli interessi dei suoi lavoratori e agricoltori… eppure la regione più colpita è il Veneto. In otto mesi sono morti 40 lavoratori, più di quelli registrati in tutto il 2009. Poi c’è il Trentino Alto Adige, con 21 vittime: in rapporto alla popolazione locale, sono un’enormità. Ha un bel dire Zaia di essere stato un super-ministro dell’Agricoltura (e ora presidente del Veneto), ma è proprio sui campi del Nord che muoiono più persone ogni anno.
Sui campi?
Si, il 32% delle vittime sono agricoltori. Spesso anziani e piccoli proprietari, finiscono quasi sempre schiacciati dai trattori. Nessuno ne parla, ma basterebbe un po’ di prevenzione per salvarli. Invece non si muove niente.
Di solito si pensa alle morti in cantiere, piuttosto che sotto ai trattori…
E’ vero che anche nell’edilizia il tasso di mortalità è elevato, il 27% delle vittime sono operai edili: cadute da tetti non recintati, crolli di travi, gru fuori controllo… E’ la conseguenza dei sub-appalti.
In che senso?
Le aziende piccole, dove il sindacato è assente e i controlli sono molto diluiti, registrano un gran numero di morti sul lavoro. Perché, operando in subappalto – o peggio – devono ridurre all’osso i costi e i tempi del lavoro. A pagare questi “sconti” sono gli operai, soprattutto meridionali e stranieri. Dove il sindacato è più forte, come in industria e nelle grandi aziende, le regole vengono rispettate (a parte casi eclatanti, come la ThyssenKrupp), e il numero di infortuni mortali diminuisce drasticamente. Non superano il 10% del totale, concentrati nelle realtà minori e poco sindacalizzate.
Il ruolo del sindacato è importante, quindi.
Non è importante, è basilare. E ridurre la “burocrazia” – le carte, i documenti, gli studi di sicurezza – come vorrebbe qualcuno, è il primo passo per veder aumentare le morti al lavoro.
Qual è la causa più ricorrente, imprudenze dei lavoratori o mancato rispetto delle norme di sicurezza da parte delle imprese?
Decisamente le mancanze dell’azienda. Capita il caso dell’operaio che dimentica il casco, ma è marginale. Il problema sta nei tempi frenetici richiesti per completare un lavoro, a costi impossibili. Anziché risparmiare sul cemento si risparmia sui ponteggi, o sulle funi di sicurezza. E gli operai cascano giù.
Però nel 2009 c’è stato un calo di vittime, secondo l’Inail. Qualcosa si sta muovendo?
Sì, il calo c’è stato, ma era un anno di forte crisi (meno ore lavorate e meno cantieri, ndr). Già ora, guardando i dati, si vede un’accelerazione rispetto al 2009: se continua così, finiamo l’anno con un aumento del 2%. Ancora poco, ma abbastanza da far pensare ad una inversione di tendenza.
Lei ha vissuto e lavorato in fabbrica per quarant’anni, come racconta anche nei suoi libri (come “Maruchein”, dove narra l’emigrazione dei meridionali al Nord attraverso gli occhi di un bambino). Com’è oggi la fabbrica?
E’ un inferno. Le tutele dei lavoratori stanno sparendo tutte: guardate cosa stanno cercando di fare a Pomigliano. Il lavoratore, l’operaio ha perso la dignità sociale, non conta più.
Ha mai parlato, o incontrato, i parenti dei “protagonisti” del suo blog?
No. Chi è colpito da una tragedia così grande entra in una dimensione di amarezza, di tristezza, di rabbia. Lasciano un pensiero, a volte straziante, ma finisce lì. Preferiscono chiudersi.
Pubblicato anche su Liberazione.
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conosco bene il problema…mio matrito è morto 4 anni fa in cantiiere..esattamente il 21 settembre 2006…il problema più serio è che le istituzioni e chi di dovere se ne frega altamente…..sono ancora in attesa di un risarcimento…che pare non arriverà neanche quest'anno..e intanto i bimbi crescono…e nessuno fa nulla per aiutari!
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Cara Paola,
se nello spazio dei contatti ci lascia i Suoi riferimenti, potremo sentirci e raccontare la vicenda di suo marito e della sua famiglia.Emilio
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Ecché! Avete scippato anche la parola morti bianche trasformandola in omicidi bianchi.
http://www.agoravox.it/Incidenti-sul-lavoro-e.htm…Incidenti sul lavoro e responsabilità del sindacato
Ed anche le più alte cariche dello Stato continuano a ciurlare per il manico facendo tanta "ammuina". Pubblicato come lettera su: "Il Gazzettino", giovedì 03.01.2008, nel fascicolo del Friuli a pagina XIII.
Consentitemi una considerazione sulle morti per infortunio sul lavoro, incidenti domestici, incidenti stradali e sulle prese di posizione di esponenti sindacali successive ai gravi fatti riportati dalla cronaca. L’incipit potrebbe essere: piangere il morto per imbrodare il vivo!
Più banalmente, anche in casa ne succedono di tutti i colori. E non mi riferisco solo alle donne ammazzate dagli uomini (l’inverso succede, ma più raramente), ma proprio agli incidenti domestici. Secondo l’Istat ne muoiono di più cadendo dalla scala per pulire i vetri che nei cantieri. In base agli ultimi dati disponibili dell’Istituto nazionale di statistica, pubblicati nel 2001, in Italia avvengono ogni anno 3 milioni 672mila infortuni in ambito domestico, di cui mediamente si registrano 8mila mortali. Sono circa 7mila le morti sulla strada e circa 1.300 le morti sul lavoro.
Conclusione? Potenza dei numeri. Nell’anno 2005 i 6 milioni di lavoratori esposti a rischio (ovviamente non gli impiegati, a cui al massimo può cadere un faldone sul piede) hanno generato all’incirca gli stessi morti. I morti sui luoghi di lavoro, al netto dei 638 riconducibili a incidenti stradali in itinere, sono 642. Il numero di decessi sulle strade è dunque molto più alto di quello all’interno dei luoghi di lavoro. Si può dunque concludere che la probabilità media di morte per ogni ora dedicata agli spostamenti su strada è fra 20 e 30 volte superiore alla probabilità di morte che si registra mediamente in un’ora trascorsa sul posto di lavoro.
I 35 milioni di utenti della strada hanno generato una cifra superiore ai 7.000 morti; i milioni (dato non disponibile) di lavoratori domestici, casalinghi/e e altri, hanno generato oltre 8.000 morti.
Secondo voi chi è sottoposto al maggior rischio? I morti sui luoghi di lavoro, sono 642 e non 1.280 perché 638 sono riconducibili a incidenti stradali in itinere al luogo di lavoro. Comunque troppi. Ma di chi è la responsabilità?
Una considerazione finale sul fatto accaduto alla Thyssen Krupp, le acciaierie di corso Regina Margherita a Torino. Ma i sindacalisti delle Rsu cosa facevano? E gli altri "distaccati", piuttosto che sindacalisti, sembrerebbero quasi un esercito di 44.000 travet piuttosto che persone "distaccate" appunto per tutelare il mondo del lavoro.
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Caro Renzo, cosa vuoi dire con la tua analisi, che non bisogna difendere i lavoratori che muoiono nei campi o nei cantieri perchè in altri ambiti si muore di più' ? E' la solita logica di chi non vuol fare niente perchè tutto rimanga immobile (posizione gattopardesca) Carlo Soricelli
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E poi caro Renzo, forse non sei sufficientemente informato,ma la Thyssen era in fase di smantellamento (stava chiudendo) e il Sindacato praticamente non esisteva più, il Sindacato ha anche fatto degli errori ma cosa vuol dire? Se riescono a isolare la FIOM i lavoratori ne vedranno delle belle. Cerchiamo tutti d'impegnarci per alleviare questo fenomeno veramente vergognoso. tra l'altro nell'intervista Valent spiega bene che quasi la metà dei lavoratori muoiono per le strade, e questo cosa significa?
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Alla Thyssen il sindacato fece un accordo sullo smantellamento ed sindacalisti all'interno tiravano a campare fino alla sua chiusura. Per questo era prassi loro lasciare passare una situazione pericolosa come normale invece di denunciare e, eventualmente, scioperare per la sicurezza.
Invece chi è stato causa del male è stato portato in parlamento.
Come carlo potrà notare penso di essere sufficientemente informato.
Coloro che muoiono calandosi in una cisterna o nella stiva di una nave non possono essere "sprovveduti e ignoranti le norme di sicurezza" e quindi …Poi abbiamo coloro che "piangono il morto per imbrodare il vivo" ai quali ultimamente si è aggiunto il presidente Napolitano da quando è salito al Quirinale.
Ricordi Marcinelle? L'Italia guadagnava monete d'oro su ogni cranio di minatore per accordi fra Stati in barba alle loro condizioni di lavoro.
Poi è da folli pensare di poter portare a zero il rischio nelle attività umane.
Il rischio può essere contrastato ma non annullato.
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