Crisi dell'artigianato: «oggi mancano i maestri». Per tacer delle istituzioni - Diritto di critica
«Oreficeria sperimentale». Così Giorgio Macondo (nella foto), 45 anni, artigiano con un laboratorio in via dei Latini, nel quartiere romano di San Lorenzo, descrive la sua attività. «Realizziamo micromosaici in pietra usando le materie prime dei mosaicisti, le nostre sono creazioni giovanili e i clienti hanno l’impressione di indossare un frammneto di un’opera d’arte».
Pietre dello spessore di millimetri, metalli e la sapiente arte artigiana. «Lavoro a San Lorenzo dal 1991 – spiega Macondo – e in tutti questi anni la mia attività, come anche quelle dei miei colleghi, ha dovuto fare i conti con la mancanza di una concreta attenzione da parte delle istituzioni verso il nostro settore e con la carenza di una manodopera specializzata. Non è vero che non ci sono i giovani interessati all’artigianato – prosegue – il problema è che oggi mancano i maestri e nel 2010 bisogna ancora andare “a bottega” per imparare questo mestiere. Gli ultimi maestri se ne sono andati negli anni Ottanta, quando ancora si trovava qualcuno disposto a insegnarti. Ad oggi non possiamo più permetterci di tenere allievi a bottega».
Sulle scuole di formazione, Giorgio Macondo è molto critico. «Ho abbandonato l’istituto d’arte a 15 anni perché, avendo una famiglia di artigiani alle spalle, avevo capito che se volevo continuare a fare la professione, dovevo stare in laboratorio. Dei miei compagni di classe, sono l’unico che fa il mestiere per cui aveva iniziato gli studi». L’artigianato artistico italiano, secondo Macondo, oggi «vive di rendita sulle ceneri del passato, i pochi artigiani rimasti sono costretti a sopravvivere e sono sempre di meno. Le istituzioni – prosegue – danno vita a una serie infinita di progetti di sostegno al settore che non si traducono in aiuti concreti e negli anni ho visto molte botteghe storiche di San Lorenzo chiudere nel silenzio più totale. Di questo quartiere si parla in relazione ai giovani, alla movida, ma mai per gli artigiani che vi lavorano».
E le prospettive per il futuro non sembrano rosee: o si chiude o si trasferisce l’attività all’estero. «Molti colleghi – prosegue – hanno scelto di andare via dall’Italia perché se sei italiano e dimostri di possedere una professionalità artigiana come la nostra che siamo per definizione “rifinitori”, all’estero vieni valorizzato e portato su un palmo di mano. Qui non accade nulla di tutto questo: manca una rete capace di sostenere nel concreto il settore e da una decina d’anni le persone si sono distaccate dall’artigianato, nessuno sa più riconoscere una materia prima né sa distinguerla da materiali più diffusi ma meno nobili. Per quanto mi riguarda – conclude Macondo – anni fa ho ricevuto una proposta per andare a fare l’orafo in Australia ma non ho intenzione di andarmene: sono italiano e voglio continuare a lavorare qui. Mi chiedo solo a quale prezzo».
(pubblicato dall’autore sul Sole 24 Ore del Lazio il 21.07.2010)