Il grande inganno dell'udienza filtro - Diritto di critica
Per ora ci resta la speranza che il bavaglio ai blog e la tagliola della sanzione pecuniaria cadano al momento del voto. Per l’ennesima volta, infatti, il Governo sta tentando di mettere sotto silenzio la rete, con la minaccia di trascinare in tribunale gli autori: obbligo di rettifica entro 48 ore. Quasi si trattasse di una testata giornalistica sottoposta alla legge sulla stampa numero 47 del 1948.
Detto questo, però, c’è un altro particolare che è stato presentato come una vittoria della libertà di stampa: l’udienza filtro. Si tratta di un clamoroso inganno. Se fino a poco tempo fa, infatti, ci si lamentava della posizione marginale in cui erano stati relegati i giornalisti dal testo votato al Senato, adesso in pochi si sono resi conto del clamoroso inganno ordito dal governo ai danni della stampa.
Nell’udienza filtro, infatti, si verificherà quello che Filippo Facci su Libero ha definito – a mio avviso giustamente – un «mercato delle vacche»: gli avvocati e i pubblici ministeri si metteranno d’accordo su cosa far uscire e cosa distruggere delle intercettazioni effettuate. «Inseriamo questo e non quello, tu mi dai questo, io ti concedo quello». E i giornalisti? Si armeranno di pazienza, in attesa che qualcun altro – in base a un concetto di «rilevanza», del tutto aleatorio e indefinito – decida cosa può essere o non essere pubblicato, cosa gli può essere passato o meno. Detto questo, il teatrino della Stampa nostrana ha esultato davanti a questa «vittoria» della libertà d’informazione. In realtà – ammettiamolo – non è cambiato assolutamente niente.
Ma non è tutto. Il filtro delle intercettazioni, infatti, è già previsto dalla procedura penale ed è riservato alla magistratura. Peccato che molto spesso nei faldoni processuali sia caduto dentro di tutto, anche conversazioni che nulla avevano a che vedere con il processo: i magistrati non setacciavano e ai giornalisti arrivavano tutte le carte. L’udienza filtro adesso promette di risolvere questo problema. L’errore, però, sta nel clamore mediatico, in una sorta di panegirico della libertà di stampa creato ad arte dall’opposizione e da alcune testate, per celebrare quella che si vorrebbe far passare come una vittoria della libera informazione. Non cambia nulla in realtà. Il governo ha semplicemente obbligato i magistrati a fare quello che in molti casi fino ad ora hanno evitato di fare: filtrare.
I giornalisti restano ancora una volta alla porta, ad attendere che altri plasmino il diritto di cronaca per conto loro e decidano cosa sia o non sia rilevante. Un mercato delle vacche della libera informazione.