L'Udc caccia il siciliano Salvatore C. - Diritto di critica
Non stiamo parlando di Salvatore Cuffaro (a sinistra nella foto), detto Totò condannato in appello nel gennaio scorso a 7 anni di carcere per mafia (favoreggiamento aggravato). L’ex presidente della regione Sicilia nonostante la pesante condanna è tutt’ora membro del partito di Pier Ferdinando Casini. Una situazione che, nonostante le voci di una sua eventuale uscita dal partito, è stata confermata alcuni mesi fa dal capogruppo siciliano dell’UdC Rudy Maira, in una nota sottoscritta da tutti i suoi deputati regionali in cui «la ricostruzione fuorviante delle espressioni di Casini non ha reso merito al senatore Cuffaro che con grande serenità e dignità umana e politica, dopo la sentenza di Appello nel processo che lo riguarda, ha rimesso gli incarichi ricoperti nel partito e non ha affermato di porre fine alla propria esperienza politica tra le fila dell’Udc».
Tra i firmatari di questo documento c’era anche Salvatore Ciotola (a destra nella foto) deputato regionale che proprio oggi il segretario nazionale dell’UdC Lorenzo Cesa ha sospeso dal suo incarico, «proponendo ai Probi Viri l’espulsione immediata dal partito e chiedendo al capogruppo all’Assemblea Regionale, Rudy Maira, di procedere all’espulsione immediata anche dal gruppo». Le motivazioni? Secondo gli inquirenti «in corrispondenza delle sedute serali e notturne dell’Assemblea siciliana, Cintola avrebbe dato disposizioni alla segretaria per acquistare la cocaina. I soldi, mille euro, li faceva avere con l’auto blu». Agli atti anche «le conversazioni intercettate al telefono fra uno spacciatore e la segretaria di Cintola, che discutono dell’acquisto di cocaina destinata al politico».
Nonostante non sia attualmente indagato per peculato, il quasi epurato Ciotola ha ribattuto al suo segretario, togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe: «Odio la droga e non ne ho mai fatto uso. Cesa dovrebbe espellere se stesso e non me per le cose ignobili che ha fatto. Mi hanno sospeso perché sono una persona per bene e non la penso come loro». Salvatore Ciotola si riferiva probabilmente alla condanna in primo grado a 3 anni e 3 mesi di reclusione per corruzione aggravata che Lorenzo Cesa prese nel 2001 . Condanna che andò in prescrizione nei gradi successivi grazie anche alle modifiche effettuate all’epoca dal Governo Berlusconi.
La situazione di Ciotola ora la risolveranno gli inquirenti e i magistrati, ma la grande contraddizione che arriva ancora una volta dal partito di Casini è enorme. Un senatore della Repubblica Italiana condannato in appello per mafia è ancora la suo posto mentre un deputato regionale non indagato ma beccato in atteggiamenti sicuramente amorali, viene quasi immediatamente cacciato. Un soluzione, quella per Salvatore Ciotola che dovrebbe essere non l’eccezione ma la regola nella vita politica di un paese normale ma che paragonata all’atteggiamento dei vertici del partito verso l’altro Salvatore e il suo «favoreggiamento aggravato» alla mafia, ne esce come la solita presa in giro fatta attraverso un moralismo di facciata utile solo per telecamere e giornalisti compiacenti.