La disgregazione sociale italiana ed il potere della Lega - Diritto di critica
Va’ Pensiero preferito all’inno di Mameli da Luca Zaia, governatore del Veneto, durante l’inaugurazione di una nuova scuola primaria a Fanzolo di Vedelago, Treviso: un caso che ha fatto e continua a far discutere l’Italia, e che pone nuovamente l’insistente interrogativo sulla legittimità di tali pretese da parte della Lega Nord.
La negazione della memoria storica in nome di cavilli regionalisti (un altro esempio? Il rifiuto da parte del sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo, di festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia poiché il Veneto fu annesso solo nel 1866) è quantomeno irritante, se si pensa che nemmeno la Lega, tanto accanita contro ‘Roma ladrona’, rifiuta lo stipendio che ‘Roma ladrona’ garantisce a parlamentari, ministri e quant’altro. Il tutto è reso ancora più grottesco dalle iniziative pseudo-localiste promosse dalla suddetta forza politica, tant’è che l’episodio del Va’ Pensiero come sostituto dell’inno nazionale si inserisce in un quadro di assurdità ben più ampio, a cominciare dalla richiesta, da parte dello stesso Zaia, di promuovere in Rai “fiction regionali” (piuttosto che di mettere in campo aiuti economici concreti per gli imprenditori veneti, tra i più colpiti dalla crisi finanziaria attuale), fino ad arrivare alla proposta leghista di inserire l’insegnamento del dialetto nelle scuole e test dialettali per gli insegnanti della scuola pubblica; proposta, questa, già in parte accolta da alcune amministrazioni locali del profondo Nord (a Brescia sono stati comprati 2 mila abbecedari in dialetto per le scuole primarie per “indirizzare e riscoprire la propria identità”, così come è accaduto anche in diversi comuni della bergamasca), probabilmente per rendere più competitivi sul mondo del lavoro europeo e/o mondiale i futuri scienziati o ingegneri, che potranno sfoggiare un bresciano o un bergamasco perfetto al posto di inglese, tedesco o spagnolo.
Il fatto che una forza politica a livello nazionale – perché, di fatto, è sul piano nazionale che opera la Lega, dopo aver raccolto consensi in ambiti più strettamente locali – si dimostri così insistentemente sprezzante verso i simboli dell’Italia unita è significativo, ma la Lega, forte del consenso e dell’incertezza dei cittadini dovuta alla crisi, nonché verso un sentimento generalizzato di delusione nei confronti della politica nazionale, non è nuova a dibattiti di questo tipo.
Eppure, se tutte queste iniziative sulla carta appaiono come minimo ridicole o imbarazzanti, assumono tutta un’altra valenza quando ci si rende conto che esse vengono accolte favorevolmente, quando non addirittura sostenute, da una buona parte dei cittadini – quella fetta di elettorato che ha dato alla Lega tutto il potere che le serviva per avanzare tali proposte come valide e giuste, e per conquistarsi un posto d’onore nelle possibilità decisionali di quel Paese che a parole tanto disprezza. Il fatto che tali proposte non vengano più percepite come assurde, bensì come legittime, fornisce un’idea abbastanza chiara su come la disgregazione della società civile italiana portata avanti negli ultimi vent’anni dalla politica, sia di destra che di sinistra, abbia spinto una parte consistente di cittadini italiani a riconoscersi non in uno stato, ma in una regione, in una provincia, in un paese, in una sorta di patriottismo padano in sostituzione ad un sentimento patriottico nazionale sempre meno giustificato dai fatti. La negazione dell’Unità d’Italia come valore è l’espressione massima ed estremizzata del sentimento di delusione e rigetto che molti italiani nutrono verso un paese variegato come l’Italia, ma lacerato nel corso degli anni da un’intera casta politica incapace di gestirlo nel suo insieme; sentimento – forse non condivisibile, ma quantomeno comprensibile – che ha spinto tanti italiani a rinchiudersi in un guscio di localismo che, apparentemente, dà più sicurezza e garanzie di quello statale e unitario, piuttosto che ad impegnarsi per la promozione di un paese migliore nella sue unità. Da questo punto di vista, la Lega non rappresenta una delle cause della situazione politico-economica attuale, quanto piuttosto un prodotto distorto di essa: la percezione del localismo esasperato come protezione e garanzia – su cui marcia la Lega- non è che uno degli effetti che la malagestione del paese ha portato con sé, acuito dall’incalzare di una crisi economica e finanziaria come non se ne vedevano da decenni. Ed è inevitabile il paragone con i tempi passati: a cosa ha portato, qualche annetto fa, il connubio tra crisi economica, potere a partiti conservatori, estremisti e xenofobi, e graduale imbavagliamento dell’informazione, con conseguente annientamento della capacità dell’opinione pubblica di discernere correttamente i fatti? Forse è il caso di iniziare a pensarci più seriamente di quanto si sia fatto finora.
Photo credits | Presidenza della Repubblica italiana, Pattyone