Corea del Nord, gli scenari e i perché
Armamento nucleare per avere considerazione e “prestigio”. Cosa c’è dietro le sciagurate scelte di Pyongyang e cosa potrebbe accadere ora
«Kim Jong-un vuole che la sua dinastia e il suo regime sopravvivano, vuole “riconoscimento internazionale”, ma sa che l’uso del nucleare darebbe inizio ad una guerra che il Paese non vincerebbe». Gli analisti interpellati dalla Cnn non hanno dubbi sulle reali intenzioni del dittatore nordcoreano, e sui motivi che lo hanno spinto a testare missili e bombe ad idrogeno come fossero fuochi d’artificio. Possedere e sviluppare un arsenale del tipo più pericoloso è l’estrema mossa per far sopravvivere all’esterno un regime chiuso e che ha ben pochi Stati “amici”: in questo modo il mondo si accorge di te e ti ritrovi a “fare notizia” e ad avere l’attenzione della Comunità internazionale. Fatto sta che Trump ha risposto con un sibillino ed inquietante «vedremo» alla domanda di un eventuale attacco a Pyongyang, e il ministro della Difesa americano, James Mattis, ha avvisato che ogni minaccia o pericolo contro gli Stati Uniti avranno una «massiccia risposta militare». Cosa potrebbe succedere ora?
- Le opzioni degli Usa Il Presidente americano ha davanti a sé, nell’immediato, o la scelta di nuove sanzioni e risoluzioni o la negoziazione. Il professor Andrei Lankov, dell’Università sudcoreana di Kookmin, ha riferito alla Cnn che Washington dovrebbe considerare l’opzione del “male minore”, ovvero consentire a Pyongyang di conservare il proprio arsenale senza svilupparlo ulteriormente, così da sedersi ad un tavolo e provare a raggiungere un accordo comune. In campagna elettorale Trump aveva prospettato la negoziazione con Jong-un (sempre a patto dell’abbandono del programma nucleare da parte del Paese asiatico), salvo poi cambiare tono e intenzioni una volta eletto. Per quanto riguarda le sanzioni, poco rimane per colpire l’economia del regime, forse l’industria tessile e il petrolio greggio, che Pyongyang esporta per la valuta straniera e importa dalla Cina. Pechino è indicato dagli Usa come il jolly che consentirà di risolvere la crisi, ma gli analisti internazionali non confidano sulla capacità cinese di forzare la mano, anche economicamente, nei confronti della Corea del Nord.
- Lo spettro della guerra All’atto pratico, è impossibile verificare l’attendibilità dei proclami minacciosi di Jong-un, ma lo scoppio di un conflitto avrebbe conseguenze immediate molto gravi, in particolare per il Giappone e la Corea del Sud. Quest’ultima è in contatto continuo con gli Stati Uniti (che rafforzeranno la loro presenza sui confini coreani) e ha appena compiuto esercitazioni militari simulando un attacco al sito di test nucleari nordcoreano: la tensione è altissima, Seul e Tokyo temono per i loro Paesi. Ma gli stessi Usa, cui proprio Seul (dopo un briefing con i servizi segreti) ha riferito del possibile spostamento di un missile intercontinentale ICBM, sono teoricamente a rischio di un attacco nucleare (partendo da Guam e dalle Hawaii).
- In caso di attacco Se Kim Jong-un attaccasse l’isola di Guam, gli Stati Uniti avrebbero molteplici azioni difensive da mettere in campo. A cominciare dal sistema antimissilistico THAAD, che spara missili a breve, medio e lungo raggio (con un raggio di intercettazione di 200 km ad un’altitudine operativa di 150 km), e dall’AEGIS, capace di monitorare ed intercettare 100 missili contemporaneamente. Tali sistemi in teoria possono abbattere un missile con carico nucleare senza farlo esplodere, ma non riescono comunque ad evitare l’emissione di radiazioni.
«Kim Jong-un vuole che la sua dinastia e il suo regime sopravvivano, vuole “riconoscimento internazionale”, ma sa che l’uso del nucleare darebbe inizio ad una guerra che il Paese non vincerebbe». Gli analisti interpellati dalla Cnn non hanno dubbi sulle reali intenzioni del dittatore nordcoreano, e sui motivi che lo hanno spinto a testare missili e bombe ad idrogeno come fossero fuochi d’artificio. Possedere e sviluppare un arsenale del tipo più pericoloso è l’estrema mossa per far sopravvivere all’esterno un regime chiuso e che ha ben pochi Stati “amici”: in questo modo il mondo si accorge di te e ti ritrovi a “fare notizia” e ad avere l’attenzione della Comunità internazionale. Fatto sta che Trump ha risposto con un sibillino ed inquietante «vedremo» alla domanda di un eventuale attacco a Pyongyang, e il ministro della Difesa americano, James Mattis, ha avvisato che ogni minaccia o pericolo contro gli Stati Uniti avranno una «massiccia risposta militare». Cosa potrebbe succedere ora?
- Le opzioni degli Usa Il Presidente americano ha davanti a sé, nell’immediato, o la scelta di nuove sanzioni e risoluzioni o la negoziazione. Il professor Andrei Lankov, dell’Università sudcoreana di Kookmin, ha riferito alla Cnn che Washington dovrebbe considerare l’opzione del “male minore”, ovvero consentire a Pyongyang di conservare il proprio arsenale senza svilupparlo ulteriormente, così da sedersi ad un tavolo e provare a raggiungere un accordo comune. In campagna elettorale Trump aveva prospettato la negoziazione con Jong-un (sempre a patto dell’abbandono del programma nucleare da parte del Paese asiatico), salvo poi cambiare tono e intenzioni una volta eletto. Per quanto riguarda le sanzioni, poco rimane per colpire l’economia del regime, forse l’industria tessile e il petrolio greggio, che Pyongyang esporta per la valuta straniera e importa dalla Cina. Pechino è indicato dagli Usa come il jolly che consentirà di risolvere la crisi, ma gli analisti internazionali non confidano sulla capacità cinese di forzare la mano, anche economicamente, nei confronti della Corea del Nord.
- Lo spettro della guerra All’atto pratico, è impossibile verificare l’attendibilità dei proclami minacciosi di Jong-un, ma lo scoppio di un conflitto avrebbe conseguenze immediate molto gravi, in particolare per il Giappone e la Corea del Sud. Quest’ultima è in contatto continuo con gli Stati Uniti (che rafforzeranno la loro presenza sui confini coreani) e ha appena compiuto esercitazioni militari simulando un attacco al sito di test nucleari nordcoreano: la tensione è altissima, Seul e Tokyo temono per i loro Paesi. Ma gli stessi Usa, cui proprio Seul (dopo un briefing con i servizi segreti) ha riferito del possibile spostamento di un missile intercontinentale ICBM, sono teoricamente a rischio di un attacco nucleare (partendo da Guam e dalle Hawaii).
- In caso di attacco Se Kim Jong-un attaccasse l’isola di Guam, gli Stati Uniti avrebbero molteplici azioni difensive da mettere in campo. A cominciare dal sistema antimissilistico THAAD, che spara missili a breve, medio e lungo raggio (con un raggio di intercettazione di 200 km ad un’altitudine operativa di 150 km), e dall’AEGIS, capace di monitorare ed intercettare 100 missili contemporaneamente. Tali sistemi in teoria possono abbattere un missile con carico nucleare senza farlo esplodere, ma non riescono comunque ad evitare l’emissione di radiazioni.