100% rinnovabili? I Paesi che ce la faranno
Dal Costarica alla Scozia, viaggio nelle Nazioni che puntano ad eliminare completamente le fonti energetiche derivanti da combustibili. Un “miraggio” che non è più così lontano
Sembrava un’utopia, e invece un futuro ad energia totalmente pulita è possibile. Lo hanno annunciato decine di Paesi al recente Forum sul clima di Marrakech, ed alcuni hanno già intrapreso la strada verso una radicale riconversione energetica. E se è vero, come hanno dichiarato molti scienziati, che alla Terra restano solo mille anni di vita, è forse ora, per dirla con un ministro delle Isole Marshall intervenuto all’incontro, «che tutti gli Stati seguano questa tendenza, per evitare gli impatti catastrofici sul clima, che stiamo vivendo attraverso uragani, inondazioni e siccità». Lo sviluppo delle rinnovabili e il graduale abbandono dei combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone) hanno naturalmente numerose incognite e richiedono sforzi economici e sociali non indifferenti, sforzi che accordi e patti sempre più internazionali stanno cercando di rendere più facili.
Vediamo nel dettaglio gli esempi più significativi di Paesi che si stanno misurando con obiettivi energetici a breve-medio termine, comprendenti fonti 100 per cento pulite, tenendo conto del fatto che un territorio con una popolazione relativamente modesta, e che non basa la propria economia sulla grande industria (la quale richiede un utilizzo intensivo di energia), è avvantaggiato nel cambiamento.
– Germania Sebbene sia una delle economie maggiori e non abbia pianificato l’intera conversione al rinnovabile, la Germania ha grandi obiettivi e sta provando soluzioni alternative ai combustibili fossili. È la politica dell’“Energiewende”, con la mission di rinunciare al nucleare entro il 2022 e ridurre dell’80 per cento le emissioni di gas serra per il 2050. Lo scorso luglio, in via sperimentale, in una giornata è stato raggiunto il 78 per cento del fabbisogno elettrico attraverso energie pulite. Ricavando la propria energia quasi completamente da sole, vento e idroelettrico, quest’anno lo scarto tra domanda e offerta è stato irrisorio (45,8 GW contro 45,5). Il Paese investe circa 1,5 miliardi di euro all’anno nella ricerca energetica.
– Portogallo Secondo il “Piano d’azione” per il 2020, l’elettricità in Portogallo arriverà per il 23 per cento dall’eolico, per il 22 per cento dall’idroelettrico, un 5 per cento dalle biomasse e un 2 per cento dal fotovoltaico. Nell’ultimo anno i progressi del piccolo Stato hanno portato ad un 48 per cento di energia prodotta da fonti pulite, del quale un 22 per cento proviene dal vento. Agli inizi del 2016, per quattro giorni il fabbisogno dei lusitani è stato coperto totalmente da solare, eolico e idroelettrico.
– Danimarca Nel luglio del 2015, grazie a forti venti, i parchi eolici della Danimarca (all’avanguardia mondiale in questo settore) hanno generato il 140 per cento dell’energia necessaria al Paese scandinavo. L’eccedenza è stata venduta a Norvegia, Germania e Svezia, e si è scoperto che le turbine non avevano nemmeno lavorato al massimo delle capacità. È il vento la principale risorsa danese, con quasi 5 GW di capacità installati. L’obiettivo futuro è chiaro: produrre metà dell’elettricità richiesta attraverso fonti rinnovabili entro il 2020, per far salire la percentuale all’84 per cento entro il 2035. Tra trent’anni la Danimarca prevede di diventare 100 per cento ad energia pulita, settore dei trasporti compreso.
– Islanda L’abbondanza di risorse naturali (ghiacciai, fiumi, geysers) rende il piccolo Stato del Nord leader nel geotermale e nell’idroelettrico; l’Islanda è il maggiore produttore di elettricità “pulita” pro capite al mondo, generandone una quantità nove volte superiore alla media dell’intera Unione Europea. Circa l’84 per cento delle case islandesi sono riscaldate con energia geotermale. Il fabbisogno energetico è già coperto da fonti rinnovabili per l’85 per cento, gli obiettivi di riconversione totale sono quindi potenzialmente a brevissimo termine. Tra il 1970 e il 2000, non contando sul petrolio, si calcola che il Paese abbia risparmiato oltre otto miliardi di dollari, riducendo le emissioni di Co2 di un terzo.
Sembrava un’utopia, e invece un futuro ad energia totalmente pulita è possibile. Lo hanno annunciato decine di Paesi al recente Forum sul clima di Marrakech, ed alcuni hanno già intrapreso la strada verso una radicale riconversione energetica. E se è vero, come hanno dichiarato molti scienziati, che alla Terra restano solo mille anni di vita, è forse ora, per dirla con un ministro delle Isole Marshall intervenuto all’incontro, «che tutti gli Stati seguano questa tendenza, per evitare gli impatti catastrofici sul clima, che stiamo vivendo attraverso uragani, inondazioni e siccità». Lo sviluppo delle rinnovabili e il graduale abbandono dei combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone) hanno naturalmente numerose incognite e richiedono sforzi economici e sociali non indifferenti, sforzi che accordi e patti sempre più internazionali stanno cercando di rendere più facili.
Vediamo nel dettaglio gli esempi più significativi di Paesi che si stanno misurando con obiettivi energetici a breve-medio termine, comprendenti fonti 100 per cento pulite, tenendo conto del fatto che un territorio con una popolazione relativamente modesta, e che non basa la propria economia sulla grande industria (la quale richiede un utilizzo intensivo di energia), è avvantaggiato nel cambiamento.
– Germania Sebbene sia una delle economie maggiori e non abbia pianificato l’intera conversione al rinnovabile, la Germania ha grandi obiettivi e sta provando soluzioni alternative ai combustibili fossili. È la politica dell’“Energiewende”, con la mission di rinunciare al nucleare entro il 2022 e ridurre dell’80 per cento le emissioni di gas serra per il 2050. Lo scorso luglio, in via sperimentale, in una giornata è stato raggiunto il 78 per cento del fabbisogno elettrico attraverso energie pulite. Ricavando la propria energia quasi completamente da sole, vento e idroelettrico, quest’anno lo scarto tra domanda e offerta è stato irrisorio (45,8 GW contro 45,5). Il Paese investe circa 1,5 miliardi di euro all’anno nella ricerca energetica.
– Portogallo Secondo il “Piano d’azione” per il 2020, l’elettricità in Portogallo arriverà per il 23 per cento dall’eolico, per il 22 per cento dall’idroelettrico, un 5 per cento dalle biomasse e un 2 per cento dal fotovoltaico. Nell’ultimo anno i progressi del piccolo Stato hanno portato ad un 48 per cento di energia prodotta da fonti pulite, del quale un 22 per cento proviene dal vento. Agli inizi del 2016, per quattro giorni il fabbisogno dei lusitani è stato coperto totalmente da solare, eolico e idroelettrico.
– Danimarca Nel luglio del 2015, grazie a forti venti, i parchi eolici della Danimarca (all’avanguardia mondiale in questo settore) hanno generato il 140 per cento dell’energia necessaria al Paese scandinavo. L’eccedenza è stata venduta a Norvegia, Germania e Svezia, e si è scoperto che le turbine non avevano nemmeno lavorato al massimo delle capacità. È il vento la principale risorsa danese, con quasi 5 GW di capacità installati. L’obiettivo futuro è chiaro: produrre metà dell’elettricità richiesta attraverso fonti rinnovabili entro il 2020, per far salire la percentuale all’84 per cento entro il 2035. Tra trent’anni la Danimarca prevede di diventare 100 per cento ad energia pulita, settore dei trasporti compreso.
– Islanda L’abbondanza di risorse naturali (ghiacciai, fiumi, geysers) rende il piccolo Stato del Nord leader nel geotermale e nell’idroelettrico; l’Islanda è il maggiore produttore di elettricità “pulita” pro capite al mondo, generandone una quantità nove volte superiore alla media dell’intera Unione Europea. Circa l’84 per cento delle case islandesi sono riscaldate con energia geotermale. Il fabbisogno energetico è già coperto da fonti rinnovabili per l’85 per cento, gli obiettivi di riconversione totale sono quindi potenzialmente a brevissimo termine. Tra il 1970 e il 2000, non contando sul petrolio, si calcola che il Paese abbia risparmiato oltre otto miliardi di dollari, riducendo le emissioni di Co2 di un terzo.