Ritorno al futuro
Adesso Renzi potrebbe decidere di capitalizzare la sconfitta e ripartire proprio da quel 40% che gli ha fatto perdere il referendum
Uno schiaffo. Un “vaffa”. Una sconfitta. Dai minuti successivi alla chiusura dei seggi, l’esito del referendum costituzionale dai più è stato letto come una clamorosa sconfessione del governo. Di certo, Matteo Renzi non ha vinto. Ma se si dovesse andare alle elezioni, quel 40% fatto registrare dal SI potrebbe essere addirittura una base di partenza più che buona su cui ragionare, in un’ottica di campagna elettorale.
Se infatti questo è stato un referendum su Matteo Renzi, l’attuale premier ha raggiunto il 40% dei voti da solo contro tutti. E questa è una variabile di cui quanti chiedono elezioni anticipate dovrebbero tener conto. Su un possibile voto, poi, potrebbe pesare anche l’assenza di un leader capace di guidare le opposizioni: a pochi minuti dal primo Exit poll, già tuonavano i vari Salvini, Di Battista, Brunetta, D’Alema. Tutto già visto, tutto già sentito. A fronte di un premier che – con una coerenza inusuale nel panorama politico nostrano – si è dimesso a spoglio ancora in corso, mentre i primi risultati già lo davano per sconfitto: “Ho perso e a saltare è la mia poltrona“. In un’Italia dove i politici raramente abbandonano la cadrega, la decisione di Renzi ha preso in contropiede i più. A questo si aggiunga una comunicazione efficace al momento delle dimissioni: la commozione, il messaggio di coerenza inviato, l’elenco delle leggi portate a termine, l’abbraccio alla moglie al momento dell’uscita.
Ma a dare la tara della possibile strategia, c’è il messaggio twittato da Luca Lotti: “Tutto è iniziato col 40% nel 2012. Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri”. Forte di questa percentuale, infatti, Renzi potrebbe adesso sfruttare la confusione che regna oltre l’asticella del Pd in Parlamento: alla prossima tornata elettorale, infatti, i Cinque stelle vorranno probabilmente andare per conto proprio – sull’onda del “venga con noi chi condivide la nostra proposta” – mentre Forza Italia e Lega Nord non avranno la forza necessaria ad acquisire una leadership e una credibilità rispetto all’onda d’urto pentastellata.
Su tutto grava comunque l’incognita della legge elettorale per il Senato e il parere della Corte Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi entro gennaio. «C’è il consultellum al Senato e l’Italicum alla Camera – ha spiegato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – e se il presidente della Repubblica lo riterrà, si andrà a votare così. E se la Corte Costituzionale interverrà in tempo, ci sarà un consultellum al Senato e un consultellum alla Camera». I Cinque stelle, invece, propendono per un Italcum modificato su base regionale, da applicarsi anche al Senato. Circostanza che li favorirebbe, almeno stando ai sondaggi. Come dire: quella stessa legge che prima veniva rispedita al mittente proprio dai pentastellati, adesso piace tanto ai seguaci del comico milanese, a capo del M5S. A fare gola è proprio il premio di maggioranza.
Al netto delle ipotesi, però, la Consulta potrebbe decidere per una terza via, ancora tutta da definire.
Uno schiaffo. Un “vaffa”. Una sconfitta. Dai minuti successivi alla chiusura dei seggi, l’esito del referendum costituzionale dai più è stato letto come una clamorosa sconfessione del governo. Di certo, Matteo Renzi non ha vinto. Ma se si dovesse andare alle elezioni, quel 40% fatto registrare dal SI potrebbe essere addirittura una base di partenza più che buona su cui ragionare, in un’ottica di campagna elettorale.
Se infatti questo è stato un referendum su Matteo Renzi, l’attuale premier ha raggiunto il 40% dei voti da solo contro tutti. E questa è una variabile di cui quanti chiedono elezioni anticipate dovrebbero tener conto. Su un possibile voto, poi, potrebbe pesare anche l’assenza di un leader capace di guidare le opposizioni: a pochi minuti dal primo Exit poll, già tuonavano i vari Salvini, Di Battista, Brunetta, D’Alema. Tutto già visto, tutto già sentito. A fronte di un premier che – con una coerenza inusuale nel panorama politico nostrano – si è dimesso a spoglio ancora in corso, mentre i primi risultati già lo davano per sconfitto: “Ho perso e a saltare è la mia poltrona“. In un’Italia dove i politici raramente abbandonano la cadrega, la decisione di Renzi ha preso in contropiede i più. A questo si aggiunga una comunicazione efficace al momento delle dimissioni: la commozione, il messaggio di coerenza inviato, l’elenco delle leggi portate a termine, l’abbraccio alla moglie al momento dell’uscita.
Ma a dare la tara della possibile strategia, c’è il messaggio twittato da Luca Lotti: “Tutto è iniziato col 40% nel 2012. Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri”. Forte di questa percentuale, infatti, Renzi potrebbe adesso sfruttare la confusione che regna oltre l’asticella del Pd in Parlamento: alla prossima tornata elettorale, infatti, i Cinque stelle vorranno probabilmente andare per conto proprio – sull’onda del “venga con noi chi condivide la nostra proposta” – mentre Forza Italia e Lega Nord non avranno la forza necessaria ad acquisire una leadership e una credibilità rispetto all’onda d’urto pentastellata.
Su tutto grava comunque l’incognita della legge elettorale per il Senato e il parere della Corte Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi entro gennaio. «C’è il consultellum al Senato e l’Italicum alla Camera – ha spiegato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – e se il presidente della Repubblica lo riterrà, si andrà a votare così. E se la Corte Costituzionale interverrà in tempo, ci sarà un consultellum al Senato e un consultellum alla Camera». I Cinque stelle, invece, propendono per un Italcum modificato su base regionale, da applicarsi anche al Senato. Circostanza che li favorirebbe, almeno stando ai sondaggi. Come dire: quella stessa legge che prima veniva rispedita al mittente proprio dai pentastellati, adesso piace tanto ai seguaci del comico milanese, a capo del M5S. A fare gola è proprio il premio di maggioranza.
Al netto delle ipotesi, però, la Consulta potrebbe decidere per una terza via, ancora tutta da definire.