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Diritto di critica | January 15, 2025

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L'America cresce di nuovo, ma con più diseguaglianze? - Diritto di critica

In attesa delle elezioni di novembre, viaggiare negli Usa provoca sensazioni contrastanti. Come se il gigante americano attendesse di conoscere il suo nuovo destino.

Stati Uniti, fine gennaio: a pochi chilometri da casinò e hotel di lusso che continuano ad incarnare la sfavillante America agli occhi dei turisti, un gruppo di cittadini di Las Vegas manifesta in favore di Bernie Sanders, candidato alle primarie democratiche, che da mesi mette in guardia sulle diseguaglianze sociali e punta il dito contro «la disparità tra redditi e patrimoni», parlando di scomparsa progressiva del ceto medio americano. Ad un’ora di aereo, nella multirazziale San Francisco, le strade sono piene di senzatetto e veterani di guerra che chiedono pane e attenzione, mentre sono attive numerose iniziative per aiutare famiglie povere e bambini bisognosi. Anche qui si sono diffusi, come conferma il Census Bureau (l’Istat degli Usa), i cosiddetti “food stamps”, i bollini per fare la spesa, che in tutti gli Stati Uniti stanno contribuendo a nutrire oltre sedici milioni di bambini, più del 20 per cento del totale.

I dati della ripresa Eppure il Pil americano, secondo i dati diffusi a fine 2015 dal Dipartimento al Commercio, è in incremento del 3,9 per cento, e questo tecnicamente sta a significare che gli Stati Uniti sono in ripresa, soprattutto, come spiegano gli economisti, grazie ai consumi, alla tenuta del settore delle costruzioni e al calo dei prezzi energetici. Ma come sempre è d’obbligo tenere conto del fatto che gli indicatori economici non coincidono completamente con la realtà della vita di tutti i giorni.

pobreza-eeuuTroppe contraddizioni Anche se la disoccupazione è in calo già da un paio d’anni, infatti, il dato che allarma è proprio quello sul quale il socialista Sanders ha costruito la campagna elettorale, ovvero il divario crescente tra ricchi e poveri, con un ridimensionamento della middle class che evoca tempi di crisi epocali. Solo qualche mese fa un rapporto del Credit Suisse ha evidenziato che dal 2008 alla fine del 2014 la ricchezza privata negli Usa è passata da 52mila miliardi di dollari a 83 miliardi, tutta concentrata in una piccola parte della popolazione. Non stupisce più di tanto, quindi, che l’impoverimento progressivo di molti americani abbia fatto esplodere l’allarme sociale dei senzatetto: specialmente sulla costa ovest, Los Angeles davanti a tutti (considerando gli interi Usa è in testa New York), e sono in emergenza città come la ricca e tecnologica Seattle (che nel 2015 ha visto morire per le sue strade 47 poveri), Portland, le isole Hawaii. Negli Stati Uniti circa 600mila persone non hanno una casa, e il 25 per cento di loro, purtroppo, sono minori. Sono persone spesso abbandonate proprio per la carenza di un sistema sociale e sanitario che intervenga, come malati psichici, drogati, disoccupati e anziani. Tra gli squilibri che balzano agli occhi in questo limbo (almeno ufficialmente) post-crisi, anche quello dei bassi salari per i lavoratori, piaga che Obama ha inutilmente tentato di debellare, scontrandosi sempre con l’ostruzionismo dei repubblicani. La media nazionale si aggira sui sette dollari all’ora. E pensare che gli americani spendono in tasse per sussidi a chi non ha uno stipendio sufficiente molto più di quello che si chiederebbe loro se le paghe fossero aumentate a 10 dollari. Parliamo di 400 dollari all’anno a famiglia. Mentre lo Stato Federale e i governi locali ne pagano ben 45 miliardi.

Fine del sogno americano? Difficile dire se dopo il periodo buio cominciato nel 2008 il “sogno americano” tornerà quello di prima; la sensazione è che l’America sia comunque cambiata, sempre grande ma un po’ più frastornata, e attenda le prossime elezioni per capire la direzione da prendere.