La redazione di Facebook? 1 miliardo di scrittori non pagati
Il social network creato da Mark Zuckerberg fattura più di 6 miliardi di euro ogni anno. Grazie al ''lavoro'' di redattori non retribuiti: gli utenti
Traduttori, giornalisti, scrittori, copywriter. Una volta scrivere era un lavoro. Oggi non più. Oggi è quell’hobby che prende tempo come un lavoro ma che non viene pagato. Certo, tutti hanno diritto di parola, tutti hanno diritto di esprimere sul web, sulla carta e in tv il proprio pensiero. Sia grandi filosofi, sia i piccoli pensatori della domenica. Lo sancisce l’articolo 21 della nostra vecchia e sconosciuta Costituzione. E in virtù di questo diritto, fondamento della democrazia moderna, sono molti quelli che consegnano al web il proprio pensiero, le proprie immagini, le proprie paure. Ma chi scrive, chi condivide sul web il proprio piccolo e contorto pensiero lo fa gratuitamente, per narcisismo, per protesta, per amore. Mentre, con quell’insieme di lettere premute su una tastiera, c’è chi si arricchisce. Sì, avete capito bene: le vostre foto, i vostri video e le vostre foto condivisi sul web gratuitamente fanno guadagnare miliardi di euro a chi vi ha fornito uno strumento semplice e apparentemente gratuito per comunicare, condividere e innamorarsi.
Il monopolio di Facebook. Sul web più traffico genera un sito web, più utenti attivi ha, più richiama l’interesse di inserzionisti pubblicitari, generando una crescita dei guadagni. Lo scorso 24 agosto Facebook ha festeggiato il nuovo record di utenti attivi contemporaneamente: un miliardo di persone. Una cifra stratosferica che solo 10 anni fa era ritenuta impossibile da raggiungere. A detenere i vecchi record erano i siti porno. Oggi, le cifre raccolte da amplessi davanti a una telecamera fanno sorridere. Così, la parola “condividere” ha superato l’insuperabile: il sesso. Il record di Facebook è stato festeggiato da molti, giornali compresi. Eppure, in pochi hanno compreso che quella cifra stratosferica contiene i germi di un monopolio che sta prendendo le sembianze di un monopolio naturale, irrinunciabile ed unico strumento per comunicare. Un monopolio che frutta a Mark Zuckerberg poco più di 12 dollari ad utente ogni giorno, secondo una stima di alcuni studi universitari statunitensi. Si tratta di stime, è vero. Ma è, invece, certo che Facebook fatturerà quest’anno 6,82 miliardi di dollari di introiti pubblicitari. Il merito di questo successo è di quella sterminata redazione di sognatori, innamorati, pensatori e filosofi che condivide, scrive e pubblica immagini e idee. Senza essere retribuiti: tu scrivi, qualcun altro guadagna.
Quando scrivere è un hobby. Negli ultimi anni ci sono state varie polemiche contro l’uso di blogger non retribuiti nei giornali online. L’idea venne vari anni fa ad Arianna Huffington. Poi il modello è stato importato anche in Italia, prima con il Fatto Quotidiano, poi con l’Huffington Italia, sotto la guida di Lucia Annunziata. L’intenzione ufficiale è quella di creare un dibattito tra componenti della società civile. Il motivo reale, invece, è puramente economico: più traffico si crea, maggiori saranno gli introiti pubblicitari. Così, chi per l’onore della firma su una grande testata, accetta di produrre contenuti gratis, di fatto contribuisce ad arricchire l’editore. Certo, non ci sono obblighi di periodicità, ma si tratta di fatto di un lavoro non retribuito, almeno nella maggioranza dei casi. È il prezzo della visibilità. Eppure, chi critica il modello Huffington, spesso attraverso feroci post su Facebook, non si accorge che fa esattamente lo stesso per Zuckerberg.
Tornare indietro si può? Meglio, quindi, tornare indietro. Tornare all’epoca pre-Facebook. Chi voleva dire qualcosa, si apriva un blog. Renderlo di successo è sempre stato difficile. Ma almeno ci sarebbe stata una selezione naturale. Nessun costo, né reale, né occulto. Ma siamo ancora in tempo per tornare indietro?
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Traduttori, giornalisti, scrittori, copywriter. Una volta scrivere era un lavoro. Oggi non più. Oggi è quell’hobby che prende tempo come un lavoro ma che non viene pagato. Certo, tutti hanno diritto di parola, tutti hanno diritto di esprimere sul web, sulla carta e in tv il proprio pensiero. Sia grandi filosofi, sia i piccoli pensatori della domenica. Lo sancisce l’articolo 21 della nostra vecchia e sconosciuta Costituzione. E in virtù di questo diritto, fondamento della democrazia moderna, sono molti quelli che consegnano al web il proprio pensiero, le proprie immagini, le proprie paure. Ma chi scrive, chi condivide sul web il proprio piccolo e contorto pensiero lo fa gratuitamente, per narcisismo, per protesta, per amore. Mentre, con quell’insieme di lettere premute su una tastiera, c’è chi si arricchisce. Sì, avete capito bene: le vostre foto, i vostri video e le vostre foto condivisi sul web gratuitamente fanno guadagnare miliardi di euro a chi vi ha fornito uno strumento semplice e apparentemente gratuito per comunicare, condividere e innamorarsi.
Il monopolio di Facebook. Sul web più traffico genera un sito web, più utenti attivi ha, più richiama l’interesse di inserzionisti pubblicitari, generando una crescita dei guadagni. Lo scorso 24 agosto Facebook ha festeggiato il nuovo record di utenti attivi contemporaneamente: un miliardo di persone. Una cifra stratosferica che solo 10 anni fa era ritenuta impossibile da raggiungere. A detenere i vecchi record erano i siti porno. Oggi, le cifre raccolte da amplessi davanti a una telecamera fanno sorridere. Così, la parola “condividere” ha superato l’insuperabile: il sesso. Il record di Facebook è stato festeggiato da molti, giornali compresi. Eppure, in pochi hanno compreso che quella cifra stratosferica contiene i germi di un monopolio che sta prendendo le sembianze di un monopolio naturale, irrinunciabile ed unico strumento per comunicare. Un monopolio che frutta a Mark Zuckerberg poco più di 12 dollari ad utente ogni giorno, secondo una stima di alcuni studi universitari statunitensi. Si tratta di stime, è vero. Ma è, invece, certo che Facebook fatturerà quest’anno 6,82 miliardi di dollari di introiti pubblicitari. Il merito di questo successo è di quella sterminata redazione di sognatori, innamorati, pensatori e filosofi che condivide, scrive e pubblica immagini e idee. Senza essere retribuiti: tu scrivi, qualcun altro guadagna.
Quando scrivere è un hobby. Negli ultimi anni ci sono state varie polemiche contro l’uso di blogger non retribuiti nei giornali online. L’idea venne vari anni fa ad Arianna Huffington. Poi il modello è stato importato anche in Italia, prima con il Fatto Quotidiano, poi con l’Huffington Italia, sotto la guida di Lucia Annunziata. L’intenzione ufficiale è quella di creare un dibattito tra componenti della società civile. Il motivo reale, invece, è puramente economico: più traffico si crea, maggiori saranno gli introiti pubblicitari. Così, chi per l’onore della firma su una grande testata, accetta di produrre contenuti gratis, di fatto contribuisce ad arricchire l’editore. Certo, non ci sono obblighi di periodicità, ma si tratta di fatto di un lavoro non retribuito, almeno nella maggioranza dei casi. È il prezzo della visibilità. Eppure, chi critica il modello Huffington, spesso attraverso feroci post su Facebook, non si accorge che fa esattamente lo stesso per Zuckerberg.
Tornare indietro si può? Meglio, quindi, tornare indietro. Tornare all’epoca pre-Facebook. Chi voleva dire qualcosa, si apriva un blog. Renderlo di successo è sempre stato difficile. Ma almeno ci sarebbe stata una selezione naturale. Nessun costo, né reale, né occulto. Ma siamo ancora in tempo per tornare indietro?
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Il web non è più un luogo dove pochi pionieri potevano colonizzare una terra di nessuno. Non è più un luogo virtuale, ma un collante che unifica la società reale. Per quanto teoricamente “illimitato”, internet ha dei punti di saturazione che sono già stati superati. Chi prima arriva meglio alloggia. La rete è ormai colonizzata in gran parte capitalisti quanto nella vita reale. Quello è il problema. Solo che nella vita reale la possibilità di “emancipazione” da parte di elementi estranei a quel mondo, è molto bassa.
Sulla rete, invece, chiunque può farsi avanti e reclamare un suo spazio. Per questo la visibilità ha quasi più valore del denaro; ma non è una cosa del tutto negativa. Il passo da fare è cercare capire che il denaro è uno strumento antiquato, non compatibile con un mondo guidato dalla tecnologia e dalla scienza. Il capitalismo va superato, e dolenti o nolenti, bisognerà capirlo.
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