Turchia, oppositori e giornalisti sotto attacco - Diritto di critica
Il Paese scivola lentamente verso un regime autoritario, anche a causa del sua rafforzata leadership in Medioriente
Ergastolo. È questa la pena che rischia Can Dundar, il direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, già minacciato dal presidente turco Tayyip Erdogan.
Venerdì scorso Dundar aveva fatto pubblicare foto e video di armi destinate a gruppi armati islamici in Siria a bordo di camion scortati dai servizi segreti del Mit. Nel filmato vengono ripresi alcuni ispettori mentre perquisiscono un container su un camion, con l’ausilio di cani anti-esplosivo. Gli uomini aprono alcuni scatoloni di cartone e sotto alcuni flaconi di medicinali spuntano dei proiettili da mortaio colmi di antibiotici. Secondo Cumhuriyet, a bordo del convoglio ce ne sarebbero stati circa un migliaio, insieme a centinaia di lanciagranate e a munizioni per armi di vario calibro.
Le minacce di Erdogan e la guerra ai giornalisti
Il governo turco dell’AKP è stato dunque inchiodato ancora una volta per quanto riguarda la consegna di armi ai jihadisti in Siria, cosa che Erdogan ha sempre negato. È stato proprio il presidente turco, lunedì scorso, a minacciare il direttore Dundar, affermando che “avrebbe pagato un caro prezzo”. Certo, Erdogan non si è mai fatto problemi a minacciare pubblicamente tutti quei giornalisti che osano criticarlo, così come non ha remore nel far perseguire, per non dire perseguitare, poliziotti e magistrati che provano a mettere il naso in “scomode faccende”. Basti pensare ai quattro magistrati che tra novembre 2013 e gennaio 2014 ordinarono perquisizioni su altri camion sospetti del MIT e che sono ancora oggi in carcere in attesa di giudizio; oppure alla rimozione di 350 agenti di polizia tra cui un’ottantina di dirigenti di diverse città , tra cui Ankara, Smirne e Antalya, e il vice-capo della Sicurezza Nazionale, “colpevoli” di aver indagato su casi di corruzione che vedevano coinvolti anche tre figli di ministri vicini a Erdogan.
Ci sono poi i giornalisti, categoria particolarmente odiata da Erdogan, tanto che la Turchia è oggi una delle più grandi “galere per giornalisti, con un discutibile primato che ha fatto recentemente piombare il paese al 154esimo posto su 180 nell’indice sulla libertà di stampa. Ozgur Korkmaz, editorialista del quotidiano Hurriyet, definisce Erdogan “uno che prende tutto molto sul personale, ecco perché tutti gli altri media e giornalisti sono diventati per lui traditori”, un profilo che ricorda molto quello del suo “ex collega” egiziano Mohamed Morsi, anch’egli ossessionato dalla propria immagine al punto tale che la Arabic Network for Human Rights Information aveva denunciato il triste record dell’ “epoca Morsi” per quanto riguarda le denunce nei confronti di giornalisti e personaggi legati ai media. Secondo questo rapporto il numero di denunce sarebbe di quattro volte maggiore rispetto all’era Mubarak e ventiquattro volte più grande rispetto a quella di Sadat.
L’appoggio ai jihadisti
Per quanto riguarda gli aiuti ai jihadisti, la Turchia guidata dall’AKP sembra essere andata ben oltre il trasferimento di armi. Nell’autunno 2014 Muharrem Ince, deputato del CHP, aveva chiesto spiegazioni ad Ankara in seguito alla comparsa di alcune foto che ritraevano Abu Muhammad, un comandante dell’Isis, mentre riceveva assistenza medica gratuita presso l’ospedale di Hatay, dopo essere stato ferito in una battaglia a Idlib. Un altro deputato del CHP, Ihsan Ozkes, aveva invece affermato che numerosi jihadisti, molti dei quali provenienti da Caucaso e nord Africa, venivano ospitati in un edificio del Direttorato per gli Affari Religiosi (Diyanet) sempre nella provincia di Hatay, sotto la supervisione del MIT (i servizi segreti turchi) per essere poi utilizzati contro i curdi nel nord della Siria.
Vi è poi il caso di un filmato nel quale si vedono due jihadisti dell’Isis avvicinarsi al confine con la Turchia proprio mentre passa una camionetta dell’esercito di Ankara. Dal veicolo scendono alcuni militari che si avvicinano alla recinzione e si intrattengono in conversazione con i jihadisti che poi si allontanano facendo segno di vittoria verso i militari.
Il progetto per un’egemonia dei Fratelli Musulmani
Sono molti gli analisti e gli intellettuali che ipotizzano come Erdogan abbia da sempre in progetto il rovesciamento di Assad, attraverso l’utilizzo dei jihadisti, col fine di sostituire il regime alawita con uno vicino ai Fratelli Musulmani.
Lo spiega giornalista turco Burak Bekdil, editorialista di Hürriyet:”Tutto è cominciato quando i leader della Turchia hanno pensato che potevano creare una cintura di stati sunniti sotto egemonia turca. Perché ciò accadesse Tunisia, Libia, Egitto, Libano, Siria e Iraq dovevano essere governati da leadership sunnite subalterne ad Ankara, preferibilmente legate ai Fratelli Musulmani. Per qualche tempo anche gli Stati Uniti avevano l’idea di creare una “mezzaluna moderata” di nazioni sunnite, con lo scopo di contenere l’Iran sciita, l’Iraq governato dagli sciiti e gli Hezbollah del Libano…..E la Turchia presto divenne il mentore di tutti i gruppi di opposizione che, nella visione ideale, avrebbero prima sconfitto Assad, poi formato un governo islamista e si sarebbero offerti per diventare un protettorato di fatto dell’emergente Impero turco. All’inizio il sostegno turco era politico e organizzativo. In realtà Ankara stava lentamente trasformando il sud-est della Turchia in un hub per militanti islamisti radicali di ogni tendenza, provenienti da moltissimi paesi”.
In conclusione, Erdogan, consapevole di aver oramai da tempo oltrepassato il “punto di non ritorno”, minaccia tutti coloro che lo criticano senza rendersi però conto che potrebbe essere proprio lui a pagarla cara e tra non molto.
Per l’AKP le elezioni di domenica 7 giugno potrebbero non andare poi così bene, nel frattempo il dissenso nei confronti di Erdogan cresce, anche in ambienti precedentemente a lui vicini. A livello internazionale l’immagine del paese è seriamente compromessa. I paesi “alleati” di Ankara potrebbero non essere più disposti a tollerare le spinte autoritarie di Erdogan, tenendo poi ben presente che la Turchia è paese membro della NATO, con tutte le relative implicazioni.
Argomenti
Turchia
Ergastolo. È questa la pena che rischia Can Dundar, il direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, già minacciato dal presidente turco Tayyip Erdogan.
Venerdì scorso Dundar aveva fatto pubblicare foto e video di armi destinate a gruppi armati islamici in Siria a bordo di camion scortati dai servizi segreti del Mit. Nel filmato vengono ripresi alcuni ispettori mentre perquisiscono un container su un camion, con l’ausilio di cani anti-esplosivo. Gli uomini aprono alcuni scatoloni di cartone e sotto alcuni flaconi di medicinali spuntano dei proiettili da mortaio colmi di antibiotici. Secondo Cumhuriyet, a bordo del convoglio ce ne sarebbero stati circa un migliaio, insieme a centinaia di lanciagranate e a munizioni per armi di vario calibro.
Le minacce di Erdogan e la guerra ai giornalisti
Il governo turco dell’AKP è stato dunque inchiodato ancora una volta per quanto riguarda la consegna di armi ai jihadisti in Siria, cosa che Erdogan ha sempre negato. È stato proprio il presidente turco, lunedì scorso, a minacciare il direttore Dundar, affermando che “avrebbe pagato un caro prezzo”. Certo, Erdogan non si è mai fatto problemi a minacciare pubblicamente tutti quei giornalisti che osano criticarlo, così come non ha remore nel far perseguire, per non dire perseguitare, poliziotti e magistrati che provano a mettere il naso in “scomode faccende”. Basti pensare ai quattro magistrati che tra novembre 2013 e gennaio 2014 ordinarono perquisizioni su altri camion sospetti del MIT e che sono ancora oggi in carcere in attesa di giudizio; oppure alla rimozione di 350 agenti di polizia tra cui un’ottantina di dirigenti di diverse città , tra cui Ankara, Smirne e Antalya, e il vice-capo della Sicurezza Nazionale, “colpevoli” di aver indagato su casi di corruzione che vedevano coinvolti anche tre figli di ministri vicini a Erdogan.
Ci sono poi i giornalisti, categoria particolarmente odiata da Erdogan, tanto che la Turchia è oggi una delle più grandi “galere per giornalisti, con un discutibile primato che ha fatto recentemente piombare il paese al 154esimo posto su 180 nell’indice sulla libertà di stampa. Ozgur Korkmaz, editorialista del quotidiano Hurriyet, definisce Erdogan “uno che prende tutto molto sul personale, ecco perché tutti gli altri media e giornalisti sono diventati per lui traditori”, un profilo che ricorda molto quello del suo “ex collega” egiziano Mohamed Morsi, anch’egli ossessionato dalla propria immagine al punto tale che la Arabic Network for Human Rights Information aveva denunciato il triste record dell’ “epoca Morsi” per quanto riguarda le denunce nei confronti di giornalisti e personaggi legati ai media. Secondo questo rapporto il numero di denunce sarebbe di quattro volte maggiore rispetto all’era Mubarak e ventiquattro volte più grande rispetto a quella di Sadat.
L’appoggio ai jihadisti
Per quanto riguarda gli aiuti ai jihadisti, la Turchia guidata dall’AKP sembra essere andata ben oltre il trasferimento di armi. Nell’autunno 2014 Muharrem Ince, deputato del CHP, aveva chiesto spiegazioni ad Ankara in seguito alla comparsa di alcune foto che ritraevano Abu Muhammad, un comandante dell’Isis, mentre riceveva assistenza medica gratuita presso l’ospedale di Hatay, dopo essere stato ferito in una battaglia a Idlib. Un altro deputato del CHP, Ihsan Ozkes, aveva invece affermato che numerosi jihadisti, molti dei quali provenienti da Caucaso e nord Africa, venivano ospitati in un edificio del Direttorato per gli Affari Religiosi (Diyanet) sempre nella provincia di Hatay, sotto la supervisione del MIT (i servizi segreti turchi) per essere poi utilizzati contro i curdi nel nord della Siria.
Vi è poi il caso di un filmato nel quale si vedono due jihadisti dell’Isis avvicinarsi al confine con la Turchia proprio mentre passa una camionetta dell’esercito di Ankara. Dal veicolo scendono alcuni militari che si avvicinano alla recinzione e si intrattengono in conversazione con i jihadisti che poi si allontanano facendo segno di vittoria verso i militari.
Il progetto per un’egemonia dei Fratelli Musulmani
Sono molti gli analisti e gli intellettuali che ipotizzano come Erdogan abbia da sempre in progetto il rovesciamento di Assad, attraverso l’utilizzo dei jihadisti, col fine di sostituire il regime alawita con uno vicino ai Fratelli Musulmani.
Lo spiega giornalista turco Burak Bekdil, editorialista di Hürriyet:”Tutto è cominciato quando i leader della Turchia hanno pensato che potevano creare una cintura di stati sunniti sotto egemonia turca. Perché ciò accadesse Tunisia, Libia, Egitto, Libano, Siria e Iraq dovevano essere governati da leadership sunnite subalterne ad Ankara, preferibilmente legate ai Fratelli Musulmani. Per qualche tempo anche gli Stati Uniti avevano l’idea di creare una “mezzaluna moderata” di nazioni sunnite, con lo scopo di contenere l’Iran sciita, l’Iraq governato dagli sciiti e gli Hezbollah del Libano…..E la Turchia presto divenne il mentore di tutti i gruppi di opposizione che, nella visione ideale, avrebbero prima sconfitto Assad, poi formato un governo islamista e si sarebbero offerti per diventare un protettorato di fatto dell’emergente Impero turco. All’inizio il sostegno turco era politico e organizzativo. In realtà Ankara stava lentamente trasformando il sud-est della Turchia in un hub per militanti islamisti radicali di ogni tendenza, provenienti da moltissimi paesi”.
In conclusione, Erdogan, consapevole di aver oramai da tempo oltrepassato il “punto di non ritorno”, minaccia tutti coloro che lo criticano senza rendersi però conto che potrebbe essere proprio lui a pagarla cara e tra non molto.
Per l’AKP le elezioni di domenica 7 giugno potrebbero non andare poi così bene, nel frattempo il dissenso nei confronti di Erdogan cresce, anche in ambienti precedentemente a lui vicini. A livello internazionale l’immagine del paese è seriamente compromessa. I paesi “alleati” di Ankara potrebbero non essere più disposti a tollerare le spinte autoritarie di Erdogan, tenendo poi ben presente che la Turchia è paese membro della NATO, con tutte le relative implicazioni.