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Diritto di critica | December 18, 2024

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Il Salone del Libro e le frustate arabe: è polemica a Torino - Diritto di critica

L'Arabia Saudita sarà l'ospite d'onore al Salone Internazionale del Libro di Torino 2016, ma sono decine i prigionieri di coscienza e di espressione nelle sue carceri. A cominciare dal blogger Raif Badawi

La Via della Seta sulle tracce di Marco Polo: è questo il nuovo percorso che prenderà il via al Salone Internazionale del Libro di Torino 2016, e che ha già dato adito a non poche polemiche. Il motivo? L’anno prossimo il paese ospite di quella che è una delle principali manifestazioni editoriali internazionali e che inaugurerà il nuovo percorso sarà l’Arabia Saudita. Ad annunciarlo, domenica, è stato proprio il presidente della Fondazione, Rolando Picchioni, assieme all’addetto culturale saudita Fahad Hamad Almaghlooth. E così, avvertono da più parti, ad occupare un posto di rilievo sia fisicamente che culturalmente al prossimo Salone del Libro sarà un paese noto più per le sue violazioni ai diritti umani che non per la sua libertà intellettuale e di espressione.

Il pensiero corre ad esempio a Raif Badawi, il blogger saudita ventottenne arrestato con l’accusa di aver fondato e gestito “Free Saudi Liberals”, un forum online di dibattito sui temi politici e religiosi in Arabia Saudita, per aver pubblicato post relativi su Twitter e Facebook e per aver criticato alcuni leader religiosi, nonché la Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio. Il giovane era già stato fermato nel 2008 e rilasciato pochi giorni dopo, ma nel 2009 il governo gli aveva proibito di lasciare il Paese e aveva congelato i suoi conti bancari. Arrestato nuovamente nel 2012, nel maggio 2014 Raif Badawi è stato condannato dalla corte penale di Jeddah a 10 anni di prigione, 1000 frustate e una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa 196.000 euro), una condanna confermata dalla corte d’appello della città. Il blogger è stato frustato pubblicamente per la prima volta il 9 gennaio 2015, di fronte alla moschea di Al-Jafali di Jeddah, ma le successive sessioni di frustate non sono state effettuate. Il giovane è ancora detenuto e, come sottolinea Amnesty International, “le autorità saudite non hanno ancora fatto una dichiarazione ufficiale sul caso, nonostante l’indignazione internazionale. Ma fino a quando la condanna alla fustigazione e alla prigione rimarrà in vigore, Raif Badawi sarà sempre a rischio di fustigazione e sconterà la condanna a 10 anni di carcere”.

L’organizzazione ricorda che quello di Raif Badawi non è un caso isolato: oltre al blogger, sarebbero infatti diversi i “prigionieri di coscienza” in Arabia Saudita, imprigionati per aver manifestato critiche verso le autorità politiche o religiose nel Paese, tra cui Suliaman al-Rashudi, Abdullah al-Hamid, Mohammed al-Qahtani, Abdulaziz al-Khodr, Mohammed al-Bajadi, Fowzan al-Harbi, Abdulrahman al-Hamid, Saleh al-Ashwan, Omar al-Sa’id, Fadhel al-Manasif e Waleed Abu al-Khair.

Un altro caso celebre, tre anni fa, era stato quello di Hamza Kashgari, poeta saudita ed editorialista per un giornale, arrestato e rimasto per mesi nel limbo del rischio di pena capitale dopo aver pubblicato su Twitter tre messaggi di ammirazione e riflessione sul profeta Maometto, nei quali si rivolgeva a lui come ad un “amico”: il giovane, all’epoca 23enne, era stato arrestato in Malesia mentre cercava di raggiungere la Nuova Zelanda e chiedere asilo politico ed estradato in Arabia Saudita, dove è rimasto incarcerato per quasi due anni.

Non solo. L’Arabia Saudita è considerato uno dei paesi più restrittivi per quanto riguarda le libertà femminili: le donne a tutt’oggi non possono guidare ed è di dicembre 2014 il caso di Loujain al-Hathloul e Maysa al-Amoudi, arrestate e imprigionate per aver sfidato il divieto della guida e accusate anche per alcune opinioni espresse on-line.

A fronte di simili episodi – peraltro non gli unici – e di fronte al ruolo controverso delle autorità saudite nella scacchiera e nei giochi di potere mediorientali, invitare il paese come ospite viene da molti considerata una scelta fuori luogo: il rischio, infatti, è quello che una manifestazione culturale di rilievo come il Salone Internazionale del Libro di Torino faccia da cassa di risonanza per un regime autoritario, celando dietro la patina del fermento culturale (ma solo quello lecito secondo le leggi saudite) tutte le violazioni ai diritti umani e alla libertà di espressione che caratterizzano il Paese.