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Diritto di critica | November 5, 2024

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Gli jihadisti della porta accanto

Negli ultimi mesi si è sentito molto parlare di Libia e ISIS ma anche di Tunisia, in seguito all’attentato al Bardo dello scorso 18 marzo. Il Nord Africa è senza dubbio in una posizione estremamente complessa dal punto di vista della sicurezza e l’Italia giustamente si preoccupa, vista la prossimità e le strette relazioni con questi paesi. C’è però un’altra area ancor più vicina al nostro paese e direttamente coinvolta nelle problematiche relative alla radicalizzazione di matrice islamista e al reclutamento di jihadisti per l’ISIS, l’area balcanica.

Per poter comprendere l’attuale situazione nei Balcani, è però necessario fare un passo indietro e focalizzarsi su un fenomeno che trova una giusta definizione nel termine “spirale balcanica”: un processo di radicalizzazione ben preciso che ebbe inizio nei primi anni ’90 in concomitanza con l’afflusso in Bosnia di jihadisti stranieri, molti dei quali egiziani, tunisini e algerini legati a gruppi estremisti quali la Gamaa al-Islamiyya e il Gruppo Islamico Armato (GIA), reduci dalla guerra in Afghanistan, recatisi nel paese per combattere a fianco dei musulmani autoctoni. In breve tempo venne formata l’unità “El-Mujahed”, brigata composta quasi completamente da jihadisti arabi e monitorata dallo stesso esercito bosniaco per tenere sotto controllo il flusso di arabi diretti in Bosnia.

Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di questi mujahideen restarono in Bosnia dove ottennero la cittadinanza bosniaca e diedero vita a delle vere e proprie enclaves a Zepce, Zenica, Bihac, Teslic, Gornja Maoca. In queste zone vivono oggi numerose famiglie che seguono alla lettera l’ideologia wahhabita e applicano la sharia in modo letterale; non si mescolano con i “miscredenti” e l’accesso ai loro villaggi è assolutamente precluso a chiunque non sia uno di loro.

Col tempo, in Bosnia si sono sviluppate delle vere e proprie network gestite da predicatori radicali che hanno saputo far leva sulle giovani generazioni soggette a una difficile situazione socio-economica e a precarie aspettative per il futuro, attirando un cospicuo numero di seguaci pronti a passare all’azione in nome del jihad, tessendo legami anche in Europa. I predicatori sfruttano particolarmente bene internet, creando siti e forum dove attraggono simpatizzanti e potenziali volontari.

Il fenomeno si è poi allargato a zone limitrofe e in particolare al Kosovo e all’Albania dove sono tutt’oggi attivi numerosi predicatori radicali. Basti pensare che lo scorso settembre la polizia kosovara, in seguito ad alcune retate, arrestò una dozzina di imam, tra cui Shefqet Krasniqi e Idriz Bilibani, entrambi ospiti di alcuni centri islamici della Toscana. Krasniqi venne rilasciato circa un mese dopo ed è tra i predicatori più seguiti nei centri islamici balcanici in Italia.

Altro personaggio ben noto alle autorità, attualmente in carcere in Bosnia dove dovrebbe restare almeno fino al dicembre 2016, è Bilal Bosnic; ex jihadista dell’unità “El Mujahed” e ospite in diversi centri islamici italiani, a Cremona, Pordenone, Siena e Bergamo. Bosnic è accusato di essere uno dei principali reclutatori di jihadisti per l’ISIS e potrebbe essere stato proprio lui ad aver “agganciato” Ismar Mesinovic, l’imbianchino bosniaco di Longarone partito per la Siria e ucciso nel gennaio 2014.

C’è poi l’Albania e in particolare alcune aree economicamente svantaggiate come certi quartieri della capitale, Tirana, le zone di Elbasan, Cerrik, Librazhd e Lazar. Quest’ultima in particolare pare rischi di diventare una zona franca dove crimine organizzato e radicalismo filo-ISIS si mescolano, formando un cocktail particolarmente pericoloso.

Nel marzo del 2014 la polizia albanese aveva arrestato una dozzina di esponenti dell’Islam radicale, alcuni dei quali sono anche volti noti della criminalità locale, con l’accusa di aver reclutato una settantina di jihadisti per la Siria. Uno degli arrestati, un imam della periferia di Tirana, sarebbe tra gli organizzatori della partenza per la Siria di Maria Giulia Sergio e il marito albanese, Aldo Kobuzi.

Secondo alcune stime della Central Intelligence Agency più di 350 jihadisti bosniaci sarebbero presenti in Siria e Iraq, 150 dal Kosovo, 140 dall’Albania e 20 dalla Macedonia. E’ la prima volta che un numero così elevato di musulmani provenienti dai Balcani si mobilita per andare a combattere guerre in Medio Oriente, con tutti i relativi rischi di un loro potenziale rientro. Preoccupa inoltre la presenza, in alcune aree del Kosovo e dell’Albania, di piccoli gruppi armati di criminali che fanno riferimento ideologico all’ISIS e che non si fanno problemi a farsi immortalare armi in pugno mentre mostrano l’indice del “Tawhid”, alcuni di questi avrebbero collegamenti con esponenti del crimine balcanico in Italia.

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