Alluvione a Genova, quando la colpa è della burocrazia
Dopo il disastro del 2011 sono arrivati i soldi per mettere in sicurezza il torrente Bisagno. Ma i lavori non sono mai partiti a causa di un ricorso
Ancora una volta sott’acqua. Ancora una volta una città invasa dal fango. Piove ed ogni volta è emergenza. Lo è stato lo scorso anno in Sardegna, due anni fa anche in Maremma. Siamo oramai nell’emergenza perpetua. Spesso gli allagamenti sono dovuti alla scarsa manutenzione di fossi e caditoie. Poi ci si accanisce anche il tempo meteorologico. Il clima sta cambiando e fenomeni estremi presto saranno all’ordine del giorno. Il caso di Genova, però, è emblematico di un sistema burocratico –ancor prima che politico –lento, lentissimo, metafora di un paese che non sa più correre; nemmeno di fronte all’emergenza.
Quel torrente “tombinato”. Nel capoluogo ligure le cause delle inondazioni sono note. Un torrente, il Bisagno, scorre sotto le vie della città. È stato coperto negli anni nella parte finale negli anni trenta. Questa scelta di “tombinarlo” ha prodotto negli ultimi anni devastanti eventi alluvionali, con il fiume che si riappropria della superficie, portando verso il mare ogni cosa. Dopo il disastro del 2011, è stato istituito un commissario straordinario per far fronte alla necessità di sistemare il corso del fiume il prima possibile. I soldi sono stati stanziati ben prima dell’ultima emergenza. I fondi servono per il rifacimento della copertura del fiume e della sua parziale demolizione, in modo da mettere in sicurezza il corso d’acqua. I soldi sono amministrati dal commissario straordinario, Claudio Burlando, attuale presidente della Regione Liguria.
Nel labirinto della burocrazia italiana. Allora? Tutto ok? No. Claudio Burlando non può utilizzare quei soldi perché, dopo aver assegnato i lavori alla società che ha vinto la gara d’appalto, un’altra società che aveva partecipato alla gara ha fatto ricorso al Tar, bloccando di fatto questi lavori. Complice, poi, la lentezza della giustizia amministrativa, i risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti: una città di fango. Un paese impantanato nel fango.
Ancora una volta sott’acqua. Ancora una volta una città invasa dal fango. Piove ed ogni volta è emergenza. Lo è stato lo scorso anno in Sardegna, due anni fa anche in Maremma. Siamo oramai nell’emergenza perpetua. Spesso gli allagamenti sono dovuti alla scarsa manutenzione di fossi e caditoie. Poi ci si accanisce anche il tempo meteorologico. Il clima sta cambiando e fenomeni estremi presto saranno all’ordine del giorno. Il caso di Genova, però, è emblematico di un sistema burocratico –ancor prima che politico –lento, lentissimo, metafora di un paese che non sa più correre; nemmeno di fronte all’emergenza.
Quel torrente “tombinato”. Nel capoluogo ligure le cause delle inondazioni sono note. Un torrente, il Bisagno, scorre sotto le vie della città. È stato coperto negli anni nella parte finale negli anni trenta. Questa scelta di “tombinarlo” ha prodotto negli ultimi anni devastanti eventi alluvionali, con il fiume che si riappropria della superficie, portando verso il mare ogni cosa. Dopo il disastro del 2011, è stato istituito un commissario straordinario per far fronte alla necessità di sistemare il corso del fiume il prima possibile. I soldi sono stati stanziati ben prima dell’ultima emergenza. I fondi servono per il rifacimento della copertura del fiume e della sua parziale demolizione, in modo da mettere in sicurezza il corso d’acqua. I soldi sono amministrati dal commissario straordinario, Claudio Burlando, attuale presidente della Regione Liguria.
Nel labirinto della burocrazia italiana. Allora? Tutto ok? No. Claudio Burlando non può utilizzare quei soldi perché, dopo aver assegnato i lavori alla società che ha vinto la gara d’appalto, un’altra società che aveva partecipato alla gara ha fatto ricorso al Tar, bloccando di fatto questi lavori. Complice, poi, la lentezza della giustizia amministrativa, i risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti: una città di fango. Un paese impantanato nel fango.