Quelle insostenibili contraddizioni quando parliamo di droghe leggere e pesanti
Abolita la legge Fini-Giovanardi che equiparava la detenzione di uno spinello allo spaccio, si è tornati al far west, con una legge obsoleta
di Francesco Ruffinoni
Abolita la legge, è di nuovo far west. A febbraio, come noto, la Consulta ha bocciato (e considerato incostituzionale) la ‘Fini-Giovanardi’, ovvero la legge che dal 2006 uguaglia le droghe leggere a quelle pesanti. La ‘Fini-Giovanardi’ equiparava ogni tipo di droga, introducendo come spartiacque, fra detenzione e spaccio, la dose massima consentita: una percentuale di illecito, oltre la quale, per la legge, si poteva essere considerati automaticamente dei pusher, anche se consumatori. La legge, poi, inaspriva le condanne, prevedendo una pena massima fino a vent’anni anche per il possesso di hashish e marijuana.
Ritorna la differenza tra “pesanti” e “leggere”. Con l’abolizione di questa norma, si è tornati al referendum del 1993 e, quindi, ad un trattamento penale differenziato fra droghe classificate come ‘pesanti’ e droghe ‘leggere’: i condannati per quest’ultime non rischieranno pene superiori ai sei anni. Ora, dunque, si dovrà tornare alla normativa precedente e cioè alla ‘Craxi-Jervolino-Vassalli’ del 1990: una legge definita, ai tempi, talmente criminogena e liberticida e che nel 1993, un referendum, abrogò in parte, alleggerendo le pene per i consumatori di droghe leggere. Naturalmente, tutto ciò, avrà una diretta ripercussione sulla popolazione carceraria. Chiare, a tal proposito, le parole di Patrizio Gonnella (numero uno di Antigone) di qualche mese fa: «Ventiquattromila persone, il 40% del totale, sono recluse per imputazioni che riguardano una normativa dichiarata illegittima».
Ma quelle “leggere” quali sono? Se è vero che la ‘Fini-Giovanardi’, forse fin troppo bacchettona, doveva essere migliorata, la sua abolizione non sembra stia portando con sé risvolti positivi. È de L’Eco di Bergamo del 4 luglio la notizia che il ragazzo di Cusano Milanino (Milano) che, il 27 marzo scorso, grazie ad una soffiata arrivata alla Squadra Mobile di Padova, era stato arrestato all’aeroporto Il Caravaggio di Orio al Serio (Bergamo), con l’accusa di spaccio di droga, è stato rilasciato. La pena che avrebbe dovuto scontare (un anno e due mesi di reclusione, con rito abbreviato) è stata infatti sospesa e il ragazzo ora è libero. Ciò, per l’appunto, è la conseguenza della bocciatura della legge ‘Fini-Giovanardi’: la sostanza che il ragazzo trasportava, del resto, è stata riclassificata come “droga leggera”. Ma di che tipo di sostanza si trattava? Niente meno che Gbl, una sostanza chimica meglio conosciuta come “droga dello stupro”: una quantità ingente (cinque taniche piene), fra l’altro, sufficiente, secondo la Squadra Mobile di Padova, a preparare qualcosa come 25mila dosi.
Quel velo di ipocrisia. Insomma, il messaggio che passa, ancora una volta, è che, con un po’ di fortuna, la legge può essere aggirata. Se fosse solo questo il problema, comunque, non sarebbe una novità: ormai, purtroppo, i cittadini sono abituati alle clausole, alle eccezioni della legge e, soprattutto, alla macchina burocratica dello Stato. Il vero problema è l’ipocrita (e ridicola) suddivisione delle droghe in ‘pesanti’ e ‘leggere’: il nonsenso teorico di questa divisione svela le proprie contraddizioni nel considerare il Gbl al pari della cannabis. È già assurdo stilare una classifica fra droghe, dato che gli effetti pericolosi dell’ “innocua” cannabis sono espressamente indicati da diversi esperti mondiali e, non ultima, dalla comunità di San Patrignano, ma, porre sullo stesso piano uno spinello e uno stupefacente utilizzato, spesso, ai fini della violenza sessuale, è qualcosa di turpe e privo di quel buon senso che la giustizia, pian piano, si sta dimenticando. Si parla, del resto, di quello stesso buon senso che pure la Sinistra odierna sembra aver scordato: partiti e relativi militanti, orfani di Marx e del marxismo, ormai trascinati, per inerzia, dal solipsismo edonista sessantottino e, spesso, incapaci, fra l’altro, di comprendere la piena differenza fra legalizzazione e liberalizzazione. Qualcuno pensa che abolendo le norme restrittive si potrà fermare lo spaccio illegale degli stupefacenti. Ciò che questo qualcuno non capisce, però, è che il primo problema non è lo spaccio clandestino, bensì la droga stessa. Nulla di nuovo, comunque, sotto il sole: è lo stesso pensiero pressappochista che, in un certo senso, accompagna le campagne a favore della legalizzazione della prostituzione e via dicendo. Un pensiero che non valuta le conseguenze a lungo termine e che, soprattutto, non si fa interprete dei mutamenti odierni.
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di Francesco Ruffinoni
Abolita la legge, è di nuovo far west. A febbraio, come noto, la Consulta ha bocciato (e considerato incostituzionale) la ‘Fini-Giovanardi’, ovvero la legge che dal 2006 uguaglia le droghe leggere a quelle pesanti. La ‘Fini-Giovanardi’ equiparava ogni tipo di droga, introducendo come spartiacque, fra detenzione e spaccio, la dose massima consentita: una percentuale di illecito, oltre la quale, per la legge, si poteva essere considerati automaticamente dei pusher, anche se consumatori. La legge, poi, inaspriva le condanne, prevedendo una pena massima fino a vent’anni anche per il possesso di hashish e marijuana.
Ritorna la differenza tra “pesanti” e “leggere”. Con l’abolizione di questa norma, si è tornati al referendum del 1993 e, quindi, ad un trattamento penale differenziato fra droghe classificate come ‘pesanti’ e droghe ‘leggere’: i condannati per quest’ultime non rischieranno pene superiori ai sei anni. Ora, dunque, si dovrà tornare alla normativa precedente e cioè alla ‘Craxi-Jervolino-Vassalli’ del 1990: una legge definita, ai tempi, talmente criminogena e liberticida e che nel 1993, un referendum, abrogò in parte, alleggerendo le pene per i consumatori di droghe leggere. Naturalmente, tutto ciò, avrà una diretta ripercussione sulla popolazione carceraria. Chiare, a tal proposito, le parole di Patrizio Gonnella (numero uno di Antigone) di qualche mese fa: «Ventiquattromila persone, il 40% del totale, sono recluse per imputazioni che riguardano una normativa dichiarata illegittima».
Ma quelle “leggere” quali sono? Se è vero che la ‘Fini-Giovanardi’, forse fin troppo bacchettona, doveva essere migliorata, la sua abolizione non sembra stia portando con sé risvolti positivi. È de L’Eco di Bergamo del 4 luglio la notizia che il ragazzo di Cusano Milanino (Milano) che, il 27 marzo scorso, grazie ad una soffiata arrivata alla Squadra Mobile di Padova, era stato arrestato all’aeroporto Il Caravaggio di Orio al Serio (Bergamo), con l’accusa di spaccio di droga, è stato rilasciato. La pena che avrebbe dovuto scontare (un anno e due mesi di reclusione, con rito abbreviato) è stata infatti sospesa e il ragazzo ora è libero. Ciò, per l’appunto, è la conseguenza della bocciatura della legge ‘Fini-Giovanardi’: la sostanza che il ragazzo trasportava, del resto, è stata riclassificata come “droga leggera”. Ma di che tipo di sostanza si trattava? Niente meno che Gbl, una sostanza chimica meglio conosciuta come “droga dello stupro”: una quantità ingente (cinque taniche piene), fra l’altro, sufficiente, secondo la Squadra Mobile di Padova, a preparare qualcosa come 25mila dosi.
Quel velo di ipocrisia. Insomma, il messaggio che passa, ancora una volta, è che, con un po’ di fortuna, la legge può essere aggirata. Se fosse solo questo il problema, comunque, non sarebbe una novità: ormai, purtroppo, i cittadini sono abituati alle clausole, alle eccezioni della legge e, soprattutto, alla macchina burocratica dello Stato. Il vero problema è l’ipocrita (e ridicola) suddivisione delle droghe in ‘pesanti’ e ‘leggere’: il nonsenso teorico di questa divisione svela le proprie contraddizioni nel considerare il Gbl al pari della cannabis. È già assurdo stilare una classifica fra droghe, dato che gli effetti pericolosi dell’ “innocua” cannabis sono espressamente indicati da diversi esperti mondiali e, non ultima, dalla comunità di San Patrignano, ma, porre sullo stesso piano uno spinello e uno stupefacente utilizzato, spesso, ai fini della violenza sessuale, è qualcosa di turpe e privo di quel buon senso che la giustizia, pian piano, si sta dimenticando. Si parla, del resto, di quello stesso buon senso che pure la Sinistra odierna sembra aver scordato: partiti e relativi militanti, orfani di Marx e del marxismo, ormai trascinati, per inerzia, dal solipsismo edonista sessantottino e, spesso, incapaci, fra l’altro, di comprendere la piena differenza fra legalizzazione e liberalizzazione. Qualcuno pensa che abolendo le norme restrittive si potrà fermare lo spaccio illegale degli stupefacenti. Ciò che questo qualcuno non capisce, però, è che il primo problema non è lo spaccio clandestino, bensì la droga stessa. Nulla di nuovo, comunque, sotto il sole: è lo stesso pensiero pressappochista che, in un certo senso, accompagna le campagne a favore della legalizzazione della prostituzione e via dicendo. Un pensiero che non valuta le conseguenze a lungo termine e che, soprattutto, non si fa interprete dei mutamenti odierni.