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Diritto di critica | October 31, 2024

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Altro che Euro, ecco a cosa servono queste elezioni europee

La Ue sta formalizzando con gli Usa un accordo di libero scambio. I termini del trattato saranno definiti dai parlamentari europei. Ma nessuno ne parla

Euro sì. Euro no. Il dibattito politico di queste elezioni europee si limita a trasformarsi in un referendum sulla moneta unica (e in parte sul governo). Ma la moneta unica non è competenza del Parlamento che andremo ad eleggere. Piuttosto, l’assemblea che verrà eletta sarà chiamata ad affrontare una decisione che avrà portata mondiale: il TTIP, il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti.

Il partenariato trans-atlantico. Si tratta della più grossa zona di libero scambio nella storia dell’uomo. L’accordo centrale è tra Ue e Stati Uniti, ma l’accordo interesserà anche il Messico, il Canada, l’Islanda, la Svizzera e la Norvegia. Al momento è aperto il confronto tra le istituzioni europee e quelle americane per definire i termini dell’accordo (qui i punti proposti dalla Commissione europea). Spetterà alla nuova Commissione, al nuovo Parlamento e al Presidente di turno della Ue (che tra un mese sarà Matteo Renzi) portare avanti le trattative e definire i termini dell’accordo. Eppure, ad eccezione della lista Tsipras – che si è detta assolutamente contraria a qualsiasi forma di accordo con gli Usa – nessuno ne parla. Meglio discutere di quello che con il Parlamento europeo non c’entra nulla: pareggio di bilancio, euro, fiscal compact.

Le ripercussioni geopolitiche. Eppure, questo accordo avrà ripercussioni geopolitiche (oltre che economiche) molto importanti. L’Europa, dopo anni in cui si è legata alla Russia (per necessità energetica), ora torna a guardare al suo vecchio alleato: gli Stati Uniti. La crisi ucraina certamente ha contribuito ad accelerare un processo comunque già avviato.

La reazione della Russia. La Russia non è rimasta a guardare. Se sotto il profilo geopolitico Mosca arretra in Europa, avendo perso la sua influenza su Kiev e quindi il suo ponte verso l’Europa, deve ora ridisegnare il suo assetto, proiettandosi verso l’Asia. L’idea del Cremlino è quella di restaurare il vecchio impero sovietico con un approccio simile a quello dell’Unione europea, anche se la Russia rappresenterebbe il fulcro centrale e vera e propria spina dorsale del progetto. Si tratta dell’Unione euroasiatica che dovrebbe nascere il prossimo anno. Russia, Bielorussia e Kazakistan sono i paesi fondatori dell’unione doganale che funzionerà da base strutturale sulla quale appoggiare il progetto. A questi paesi si dovrebbe aggiungere anche l’Armenia ma è possibile che verranno presto inclusi altri paesi dell’ex Unione sovietica. I tre paesi hanno firmato solo due giorni fa un accordo per un mercato comune dell’energia che diventerà effettivo nel 2016.

Verso Pechino. Intanto Mosca lancia l’ennesimo avvertimento all’Europa, la stessa Europa che ora guarda agli Usa per svincolarsi – sotto il profilo energetico – dalla Russia. Così, Putin ha sfruttato i suoi rapporti di buon vicinato con la Cina per uno storico accordo da 400 miliardi in trent’anni. Mosca, per questo prezzo, fornirà gas alla Cina che sta soffrendo un rallentamento della sua crescita economica e tassi di inquinamento elevatissimi causati dall’uso del carbone. Il contratto prevede una fornitura trentennale di metano, pari a 38 miliardi di metri cubi all’anno (la metà dei consumi italiani), garantito da un gasdotto lungo 2.200 chilometri dalla Siberia alla Cina orientale ancora da costruire.