Ecco il Def targato Renzi: il taglio dell'Irpef lo pagano le banche
Banche e rendite finanziarie verranno tassate di più a favore di imprese e cittadini, calcolando tra loro anche gli incapienti, i quasi 4 milioni di persone che non pagano tasse (perché con reddito inferiore ad ottomila euro) e quindi necessitano di una forma di aiuto diverso dallo sconto fiscale.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del Def, il documento di economia e finanza presentato dal governo Renzi, che tra risparmi e privatizzazioni conta di mettere assieme 18 miliardi.
Secondo il Def, il Pil nel 2014 sarà allo 0,8%, in calo rispetto all’1,1% stimato in precedenza (ma già oggi il FMI ha tagliato la stima allo 0,6%, come la Grecia). Il Pil tornerà a crescere nel 2015, all’1,3% (la Grecia sarà al 2,9), mentre il rapporto deficit/Pil non aumenterà rispetto al 2,6 percento, di fatto confermando – come notato anche da Dirittodicritica – che la Ue non permetterà alcuno sforamento.
Per quanto riguarda il debito, saremo al 131,1% del Pil, se calcoliamo anche le risorse da stanziare per il fondo salva Stati europeo siamo addirittura al 134,9. Negli anni a venire comunque ci dovrebbe essere una diminuzione progressiva fino ad arrivare, nel 2018, al 120,5% del Pil (ovviamente, ed è quasi scontato a dirsi, le stime del Fmi sono peggiori).
Ma veniamo al nodo delle coperture per il taglio da 10 miliardi dell’Irpef, che consentirà agli italiani pagati meno di 1500 euro al mese di avere ottanta euro in più in busta paga. È questa la promessa su cui Renzi si gioca tutto e su cui c’era più attesa, dato che, al netto del mancato allentamento dei vincoli europei, i conti non tornavano. Ed ecco la vera sorpresa.
Renzi sembra avere risolto l’impasse tassando le banche a favore dei cittadini in difficoltà. Dopo che il suo collega di partito e predecessore a palazzo Chigi, Enrico Letta, aveva beneficiato gli istituti di credito, il rottamatore li colpisce, scatenando le ire dell’Abi che ha definito la misura “ingiusta e illogica”.
Un miliardo, infatti, arriverà dalla maggiore tassazione (passa dal 12 al 20%) delle plusvalenze realizzate dalle banche italiane con la rivalutazione delle quote detenute in Bankitalia.
A queste risorse c’è da aggiungere 1,2 mld derivante dal maggiore gettito IVA (che la Ue però potrebbe non gradire visto che non dà certezze future) frutto dei debiti pagati dallo Stato alle aziende private. In tutto si tratta di 2,2 miliardi che sommati ai 4,5 derivanti dalla spending review fa tornare i 6,7 miliardi di taglio Irpef previsto per quest’anno. Per l’anno in corso la revisione della spesa sarà complessivamente di 6 miliardi e crescerà progressivamente: 17 miliardi nel 2015 e 32 nel 2016.
Strettamente connesso all’IVA c’è il pagamento di un’altra tranche dei debiti della pa alle aziende. Tredici miliardi di euro che si sommano ai 47 dei governi precedenti e che arriveranno, sia pure con anni di ritardo, alle imprese (quelle che nel frattempo non hanno fallito) creditrici dello Stato grazie al meccanismo supportato dalla Cassa depositi e prestiti.
Va detto che il Def è solo un documento e per diventare operativo deve essere convertito attraverso decreti in grado di recepirne le misure. Il decreto per il taglio Irpef arriverà il 18 aprile, il giorno dopo la presentazione del Def in Parlamento (dopo di che il documento dovrà essere passato al ben più ostico vaglio europeo).
Altra misura molto importante per il cuneo fiscale riguarda il taglio dell’Irap – che sarà del 10% in 12 mesi (a cavallo tra 2014 e 2015) – verrà coperto dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, esclusi i bot, che passerà dal 20 al 26%, con un gettito superiore ai 2 miliardi. A fronte di un taglio considerevole alla tassazione potrebbero anche essere rivisti o tagliati gli aiuti alle imprese.
Prevista nel 2014, inoltre, un’ondata di privatizzazioni da 12 miliardi (solo la dismissione di quote pubbliche di Poste e Enav ne porterà 5-6) a che serviranno, però, a ridurre il debito pubblico. Lo stesso avverrà nei prossimi tre anni, per una cifra tra i 10 e i 12 miliardi annui, equivalenti allo 0,7% del prodotto interno lordo.
All’insegna dello “stringere la cinghia” anche i tagli agli stipendi dei manager e dirigenti pubblici di società non quotate in borsa. Fissato il massimo stipendio consentito su quello del presidente della Corte di Cassazione (poco più di 300.000 euro), si vorrebbe scendere a 238.000 euro lordi l’anno, come il Presidente della Repubblica. C’è da dire che i tagli non saranno applicati ai contratti in essere – i dipendenti pubblici farebbero ricorso e, contratto alla mano, lo vincerebbero, costringendo lo Stato a pagare anche i danni-, quindi per vedere qualche risultato potrebbe volerci diverso tempo.
Sebbene siano già partite le critiche – da chi vorrebbe sforbiciare molto di più – anche per la Pubblica Amministrazione sono previsti tagli sulla spesa considerata improduttiva (ad esempio: materiali, cartoleria e carta igienica) per un un risparmio calcolato in 800 milioni di euro.
Altro capitolo quello relativo agli enti inutili: non c’è soltanto il Cnel, l’Aci e la Motorizzazione da tagliare, o riformare. Sono moltissimi gli enti ritenuti sopprimibili anche se il risparmio – dovendo riassorbire necessariamente il personale – è tutto da vedere, mentre le resistenze sono assicurate. Stesso discorso per le Camere di Commercio che potrebbero essere accorpate.
Da tagliare ci sarebbe anche in Parlamento: 700 milioni di tagli aggiuntivi per Camera e Senato, anche se in questo caso va ricordata l’autonomia di cui godono le camere.
Non manca la diplomazia: previsto il taglio di alcune ambasciate, ma anche degli stipendi dei diplomatici, operazione che non si presenta affatto semplice, dato che il sindacato diplomatici, il Sndmae, non è per niente favorevole.
Tantissimo si attende dalla sanità – vero pozzo di San Patrizio e regno di corruzione e sprechi – per la quale però, vale la pena ricordare, si attende sempre l’introduzione dei ‘costi standard’ che dovrebbero abbattere gli sprechi. Al momento comunque sono previsti tagli alla spesa farmaceutica, anche se si preferisce parlare di risparmi, pare infatti che i tagli non saranno lineari. Si opta per la ponderazione e l’adozione di strumenti più efficaci, anche perché il governo in futuro vorrebbe immettere maggiori risorse nel sistema sanitario: una decina di miliardi in tre- quattro anni.
Molto nebuloso il capitolo che attiene ai tagli alla difesa, che dovrebbero essere apportati, ma di cui non si conosce ancora nulla, compresa la famosa questione del taglio ai fondi per l’acquisto degli F 35 di cui anche questo governo aveva parlato a più riprese.
Twitter@virgiliobart
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