Caos Egitto, uccisa una giornalista
La nota giornalista egiziana del quotidiano el-Dostour, Mayada Ashraf, è rimasta uccisa nella giornata di venerdì durante gli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti dei Fratelli Musulmani a Ein Shams, sobborgo del Cairo. La giornalista era famosa per le sue posizioni anti-Mursi che le avevano più volte causato non pochi problemi. L’emittente televisiva qatariota al-Jazeera ha inizialmente dichiarato che la giovane giornalista era morta in seguito a colpi di arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza, come sostenuto anche dai manifestanti filo-Mursi. Nelle ore successive, tuttavia, sono emersi dettagli che tendono a confermare un’altra versione.
Già nella serata di venerdì le forze di sicurezza egiziane avevano reso noto di aver arrestato otto militanti del movimento dei Fratelli Musulmani, presunti responsabili dell’omicidio della giovane reporter. Il Ministero dell’Interno ha fatto sapere che sarebbero disponibili registrazioni video che incastrerebbero i militanti. Il portavoce del Ministero dell’Interno egiziano, il generale Hani Abdul Latif, ha poi dichiarato alla stampa locale che la giornalista Mayada Ashraf era già da tempo nel mirino dei Fratelli Musulmani; fatto confermato anche da Adel el Sanhoury, caporedattore del giornale Youm7, il quale ha dichiarato che Mayada Ashraf aveva dichiarato più volte negli ultimi mesi di aver subìto vari tentativi di rapimento da parte dei Fratelli Musulmani.
La ragazza, nell’autunno del 2013, aveva raccontato a una trasmissione televisiva della tv egiziana di essere stata catturata da studenti della Fratellanza durante una manifestazione all’università di al-Azhar. Gli estremisti, dopo averla insultata, le avevano preso macchina fotografica e cellulare. Una volta rilasciata, la Ashraf aveva immediatamente sporto denuncia alle autorità.
Al-Arabiya ha successivamente fatto sapere che le autorità egiziane hanno arrestato altri cinque uomini che, durante le proteste, hanno aperto il fuoco contro alcuni residenti, uccidendo diverse persone. Tra i morti ci sarebbe anche Mary Sameh, 26 anni, cristiana; la ragazza è stata trascinata fuori da un’auto e giustiziata dopo che gli estremisti hanno notato una croce all’interno del veicolo, il quale è stato successivamente dato alle fiamme.
Dunque mentre l’Egitto si avvia a fatica verso le elezioni presidenziali del 26 e il 27 maggio, a cui si candiderà anche l’ex capo delle forze armate Abdel Fattah al-Sisi, i sostenitori di Mursi stanno facendo di tutto per boicottare il processo elettorale. Il sito online di Al-Arabiya, ad esempio, ha pubblicato un’inquietante dichiarazione del leader della Fratellanza a Londra, Ibrahim Muni: “non ci sarà ne stabilità e né sicurezza se al-Sisi vincerà le elezioni”. La vittoria dell’ex capo dell’esercito Abdel Fattah al-Sisi è data come molto probabile a causa della grande popolarità di cui gode per aver guidato l’intervento militare che, nell’estate del 2013, ha posto fine al governo Mursi.
Una candidatura che è stata ben accolta da diversi schieramenti; Tamarrod ha dichiarato nella giornata di mercoledì: “La nostra scelta per una figura come il maresciallo al-Sisi è rappresentativa di una grande parte del popolo egiziano”. Anche il candidato della sinistra, Hamdeen Sabahi, si è dichiarato favorevole: “Accolgo con favore la candidatura di al-Sisi e speriamo in elezioni democratiche e trasparenti che garantiscano la neutralità dello stato e il rispetto della volontà del popolo egiziano nella libera scelta del proprio presidente”. Sostegno anche dal premio Nobel Mohammad ElBaradei: “al-Sisi ha tutto il diritto di candidarsi come civile dal momento in cui ha rassegnato le dimissioni dall’esercito”.
In seguito a un disastroso anno di governo Mursi, basato su autoritarismo, persecuzione dei giornalisti dissidenti, tentativi di accentramento del potere e una bozza costituzionale che rafforzava il ruolo della sharia e restringeva i diritti civili di donne e minoranze religiose, il movimento Tamarrod avviò, il 1 maggio 2013, una raccolta di firme per chiedere elezioni anticipate, raggiungendo 22 milioni di firme, nove milioni in più rispetto ai voti di Mursi alle presidenziali. Il 30 giugno, milioni di egiziani scesero in piazza in tutto il paese per sostenere la petizione ma Mursi si rifiutò di ascoltare la popolazione e di accettare nuove elezioni. A questo punto, il 3 luglio 2013, con l’ampio sostegno degli egiziani, il generale al-Sisi intervenne per destituire Mursi.
Il nuovo governo di transizione ha messo in atto una roadmap per portare il paese verso nuove elezioni democratiche; roadmap mai accettata dai sostenitori dei Fratelli Musulmani. Nel frattempo l’Egitto è stato trascinato nella spirale del terrorismo, come minacciato subito dopo la deposizione di Mursi, da alcuni sostenitori e membri dei Fratelli Musulmani; gli attentati hanno preso di mira politici, militari, poliziotti, civili e turisti.
A questo punto non resta che sperare nella piena riuscita di nuove e libere elezioni democratiche il cui esito rispecchi pienamente la volontà del popolo egiziano.