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Diritto di critica | November 22, 2024

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Se i populisti vincono le prossime Europee. Scenari possibili sul dopo-voto

Grillo_urladi Emiliano Germani

Mancano circa due mesi alle elezioni per il Parlamento europeo e il paradosso è che a vincerle potrebbero essere proprio coloro che vorrebbero vederlo chiudere. Secondo i più recenti sondaggi, infatti, i partiti cosiddetti “euroscettici” potrebbero ottenere un numero di seggi che va da un quarto ad un terzo dell’Europarlamento. Alla fine, quindi, potrebbero essere più di 200 – su un totale di 766 – i deputati di partiti ostili alle politiche di austerità imposte negli ultimi cinque anni da Bruxelles e in vario modo favorevoli all’uscita dei loro Paesi dall’area Euro, o addirittura al ritiro dell’adesione all’Unione Europea. Esiste quindi una minaccia incombente sul destino delle istituzioni europee?

Per comprendere cosa potrebbe succedere, partiamo dalle rassicurazioni. C’è un punto fondamentale da considerare. E’ vero che negli ultimi anni l’Europarlamento ha visto accrescere le sue funzioni e i suoi poteri, e che si tratta nella sostanza dell’unico organo rappresentativo dei cittadini europei, perché elettivo, a differenza della Commissione e del Consiglio. Ma è anche vero che la sua capacità di incidere sui destini dell’Unione non è così immediata (non ha potestà legislativa autonoma e non può decidere da solo le linee guida sulle politiche economiche stabilite nei trattati) e va sempre contemperata nell’ambito delle reciproche influenze con Commissione e Consiglio.

MA USCIRE DALL’EURO SAREBBE UN DISASTRO << L’ANALISI

Certo, se una larga parte o la maggioranza assoluta dei parlamentari fossero euroscettici, il Parlamento europeo potrebbe anche adottare misure estreme, come l’auto-scioglimento (che non è tuttavia normativamente disciplinato) o le dimissioni di massa. Iniziative dall’alto valore simbolico, certo, in quanto attuate da rappresentati eletti del popolo europeo. Ma qui si giunge ad un secondo punto: il Parlamento europeo è, nella sostanza, in realtà scarsamente rappresentativo degli europei, per i meccanismi di voto che nei diversi Paesi disciplinano la rappresentanza, per il peso non omogeneo della rappresentanza nazionale (in proporzione alla popolazione alcuni Paesi sono sovra-rappresentati rispetto ad altri), e soprattutto per la bassa propensione al voto dei cittadini europei in occasione del suo rinnovo. Basti pensare che all’ultima tornata elettorale, il tasso di astensione medio è stato intorno al 57%, e per le elezioni del prossimo maggio si prevede un’affluenza ancora più bassa. In sostanza, quindi, un Parlamento euroscettico sarebbe una dura ipoteca sul destino dell’Europa unita, ma non ne potrebbe decretare l’immediata fine. Un secondo elemento da considerare è l’effettiva capacità degli euroscettici, potenzialmente tanti ma molto diversi e divisi tra di loro, di essere realmente incisivi nella vita del Parlamento europeo.

Dopo le elezioni potrebbero formarsi tre gruppi euroscettici, identificabili con i conservatori, la destra (autonomisti, nazionalisti, ecc.) e la sinistra radicale. Ci sono poi alcuni partiti di estrema destra, che in genere, hanno finora avuto grosse difficoltà a coalizzarsi tra loro o con altre formazioni e che, in caso di crescita elettorale, potrebbero dare vita a una nuova formazione o confluire in altre rafforzandole. Tuttavia, a parte la critica agli effetti dell’Euro e alle istituzioni europee, nonché alle politiche neoliberiste dell’Unione imputate di aver aggravato la crisi economica, queste formazioni, proprio per la loro forte connotazione ideologica, appaiono difficilmente capaci di coalizzarsi su temi e obiettivi comuni. Al contempo, la minaccia incombente potrebbe spingere i partiti europeisti (principalmente popolari, socialdemocratici e liberali) a serrare i ranghi, formando una “grossa coalizione” perfettamente capace di dominare il Parlamento, soprattutto se si considera che, già oggi, la stragrande maggioranza dei provvedimenti sono approvati con i voti espressi insieme da questi tre gruppi. Insomma, per ora l’euroscetticismo non rischia né di conquistare il Parlamento europeo o di egemonizzarlo, né di poter immediatamente disgregare le istituzioni europee dal loro interno.

Tuttavia i possibili effetti dell’attesa “onda euroscettica” non sono del tutto trascurabili. Dal punto di vista degli equilibri istituzionali, se riuscissero a trovare un temporaneo accordo, i pur variegati movimenti anti-europeisti potrebbero decidere o quantomeno influenzare con i loro europarlamentari la nomina di alcuni dei membri della Commissione, che vengono approvati dal Parlamento su proposta degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Ci sono poi alcuni temi su cui tutte le formazioni euroscettiche potrebbero trovare, con alleanze temporanee, una linea politica e quindi un orientamento di voto comune, come norme più restrittive in materia sicurezza, immigrazione e giustizia, gli eventuali allargamenti ad altri Paesi, ecc.. Altri effetti si potrebbero avere in termini sistemici: una Commissione influenzata da un Parlamento euroscettico potrebbe muoversi con più prudenza e lentezza, perdendo quindi capacità di influenza. Se poi, ribaltando le alleanze tradizionali, il Parlamento, sempre perseguendo la strada di un indebolimento delle attuali linee politiche europee, decidesse anche di abbandonare il rapporto privilegiato con la Commissione a favore di un tandem con il Consiglio, la struttura decisionale dell’UE cambierebbe sicuramente fisionomia.

Abbiamo poi detto che le maggiori formazioni partitiche europeiste deterrebbero, anche alla luce di un grosso exploit degli euroscettici, una salda maggioranza. Ma è anche vero che all’interno di popolari, socialdemocratici e liberali si annideranno probabilmente delle frange euroscettiche. Basti pensare al caso nostrano di Forza Italia, che fa parte dei popolari europeisti ma è attualmente attestata su posizioni abbastanza eurocritiche. In presenza di decisioni su temi particolari, soprattutto in ambito economico o di integrazione tra gli Stati, potrebbero quindi manifestarsi delle evidenti crepe nella maggioranza europeista.

Ma c’è un ultimo fattore da considerare, forse il più importante di tutti. Secondo gli analisti politici più attenti, il vero obiettivo degli euroscettici potrebbe essere quello di usare il risultato elettorale al Parlamento europeo come trampolino di lancio per future affermazioni nei rispettivi Paesi. E’ in chiave nazionale, infatti, che si può giocare una partita decisiva per il futuro dell’Europa. Innanzitutto, perché i singoli Stati possono adottare svolte anti-europeiste molto forti, dalla limitazione della libera circolazione prevista dai trattati di Schengen, all’opposizione all’adesione di nuovi Paesi, fino a iniziative che abbiano come obiettivo finale l’uscita dall’Euro o dall’Unione Europea. Senza contare, poi, che influenzando o controllando i governi nazionali si potrebbe incidere direttamente sulle politiche perseguite dal Consiglio e, di riflesso, sull’intero sistema decisionale dell’UE.

 

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