La Svizzera al voto: "Troppi italiani, vadano a casa"
Stop agli immigrati. “L’eccesso nuoce”, si legge su un manifesto elettorale. Non ci troviamo in qualche paese o città padana. Non ci sono leghisti a sventolare il verde “Sole delle Alpi”. Non ci sono migranti che sbarcano a Lampedusa. Siamo nella vicina Svizzera, dove quelli brutti, puzzolenti e cattivi non arrivano dal mare ma direttamente in macchina, e soprattutto non hanno la pelle scura. Siamo noi italiani.
L’invasione dei “barbari”. I cugini ticinesi, che parlano italiano, guardano anche la tv italiana e hanno vie e piazze dedicate a nomi del Risorgimento italiano, non vogliono più quei terroni dei lombardi. In Svizzera risiedono 500mila italiani, ai quali si aggiungono 60mila transfrontalieri, cioè coloro che ogni giorno attraversano il confine per andare a lavorare a Lugano e nelle città limitrofe. Un numero decisamente alto che fa storcere il naso a molti ticinesi (e non solo) che si vedono minacciati da questo flusso migratorio.
Un’immigrazione massiccia ma di qualità. La crisi si sente anche in Svizzera. E qui gli italiani, soprattutto i frontalieri, accettano lavori per salari più bassi rispetto ai cittadini svizzeri, facendo diminuire di conseguenza il costo del lavoro e la retribuzione dei lavoratori ticinesi (anche se il comitato per il No smentisce categoricamente una riduzione del salario medio). Si tratta di un effetto osmotico causato da un accordo tra Bruxelles e Berna per la libera circolazione di persone e beni del 2002. Così, se le frontiere sono divenute negli ultimi decenni più permeabili, avviene anche che territori contigui, seppur separati da una riga su una cartina geografica, subiscano l’influsso reciproco, soprattutto sotto il profilo economico. Non si tratta più solo di operai o contadini. Da qualche anno a questa parte la Svizzera è diventata meta privilegiata anche di molti lavoratori qualificati: ricercatori, avvocati, ingegneri e consulenti. Oggi il 25% della popolazione svizzera è nato in un altro paese.
A rischio gli accordi con la Ue. Domenica prossima i cittadini svizzeri saranno chiamati ad esprimere la propria opinione sulla rinegoziazione degli accordi con l’Unione europea sul libero scambio e per il ritorno alle quote di accesso per competenza e nazionalità. Se dovesse vincere il Sì, si tornerà indietro di vent’anni, o forse trenta, quando gli italiani raggiungevano la Svizzera e si ritrovavano a leggere all’ingresso di un bar “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. E soprattutto se dovesse vincere il Sì la Svizzera potrebbe far saltare gli accordi con la Ue per la libera circolazione di beni e servizi. In poche parole le imprese svizzere rischierebbero di non avere più libero accesso al mercato europeo, ma potrebbero vendere beni e servizi nella Ue dietro il pagamento di un dazio. Inoltre, l’ingresso di manodopera (soprattutto qualificata) verrà stabilito per via burocratica, togliendo alle stesse imprese la libertà di attingere all’ampio bacino europeo di lavoratori qualificati.
Italiani, go home. Il governo di Berna rassicura i vicini. Ma se dovesse passare il referendum per molti cittadini europei e soprattutto per molti italiani potrebbe non esserci più posto nella ridente Svizzera. Così, il governo Letta potrebbe dover gestire un’emergenza inaspettata: il ritorno nei confini italici di un numero consistente di concittadini senza più un impiego. Infatti, si legge sulla proposta di legge referendaria, “Il numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera è limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali. I tetti massimi valgono per tutti i permessi rilasciati in virtù del diritto degli stranieri, settore dell‘asilo incluso. Il diritto al soggiorno duraturo, al ricongiungimento familiare e alle prestazioni sociali può essere limitato”.
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Non è vero, e lo sa. In Ticino e a Ginevra il Sì ha stravinto. Non è un caso, visto che proprio lì c’è il maggior numero di frontalieri francesi e italiani.
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