Quell'opposizione a Renzi interna al Pd, frammentata e indecisa
L’ANALISI – La punta dell’iceberg sui media in questi giorni è stato Cuperlo. L’ex presidente del Partito democratico ha impersonato l’opposizione e si è fatto portavoce del malcontento nei confronti del modus operandi del neosegretario, Matteo Renzi. La sua richiesta di votare un provvedimento “a scatola chiusa” ha creato non pochi mal di pancia e per molti – di vecchia scuola Fgci – è suonata come una vera e propria bestemmia. Le dimissioni di Cuperlo, quindi, più che inevitabili erano addirittura attese da chi lo conosce bene. Quel presidente, in un partito a trazione renziana, non avrebbe mai potuto incastonarsi senza creare frizioni.
Quello che però non è emerso, a fronte di un’attenzione mediatica concentrata sul duello Renzi-Cuperlo, è il dissidio ulteriore che si respira all’interno di quell’opposizione riunita attorno all’ex presidente Pd. Gli antirenziani, infatti, sono pochi – lo testimoniano i numeri della Direzione sulla proposta di legge elettorale – e divisi al loro interno: ci sono i Giovani turchi di Orlando e Fassina, i bersaniani, i dalemiani. Con i secondi che – nella guerriglia contro Renzi – non hanno seguito i primi e i terzi quasi gruppo a parte rispetto a tutti. E’ il (solito vecchio) Pd delle correnti con cui tutti – prima o poi – dovranno fare i conti. Un modello di partito che adesso – con la locomotiva Renzi lanciata a tutta forza – rischia di implodere o ridursi all’inconsistenza. In questo senso, va detto, le dimissioni di Gianni Cuperlo hanno rappresentato più una prova di debolezza che non una vittoria o una decisione capace di mettere in difficoltà il Segretario. In questo senso, l’abbandono dell’ex presidente Pd è sì un segno di scissione ma non del Pd quanto dell’opposizione a Matteo Renzi.
E se da un lato c’è chi vorrebbe far coincidere la figura del neosegretario con quella di Berlusconi (vedi Fassina), dall’altro una parte del partito che non si riconosce in Renzi sostiene che – pur marcando le differenze – è giusto essere costruttivi e sostenere colui che è stato incoronato dalle primarie (vedi Orfini, Orlando, Speranza, Amendola, ecc..). La minoranza, dunque, è più spaccata che mai. Una divisione che adesso dovrà fare i conti anche con la poltrona di presidente del partito: il totonomi è più aperto che mai.