"Made in Italy", Coldiretti in campo contro la concorrenza sleale
Made in Italy? Si fa presto a dire “made in Italy”. Ma essere certi dell’ “italianità” di ciò che si compra non è affatto semplice, soprattutto se si tratta di agroalimentare. Secondo un dossier pubblicato recentemente dalla Coldiretti, infatti, il 33% dei prodotti che si fregiano del marchio tricolore (e come tali sono venduti sia in Italia che all’estero) contengono materie prime di importazione. Quindi “made in Italy” sì, ma non del tutto. Il trucco è in un gioco di parole: sono prodotti (cioè lavorati) in Italia, ma ciò che contengono proviene da fuori. E così si scopre che il 30% del grano con cui si realizza la nostra pastasciutta è straniero, così come la carne di maiale di due prosciutti su tre o il latte del 50% delle mozzarelle. Illegale? Non proprio. E’ “solo” poco trasparente: le etichette non mentono, si limitano ad omettere informazioni.
La battaglia di Natale. Un omissione che però fa infuriare coltivatori e produttori italiani rappresentati dalla Coldiretti, che chiedono indicazioni più chiare sulle confezioni, in modo da proteggere chi il “made in Italy” lo fa sul serio. Per far sentire la loro voce hanno scelto la via della protesta eclatante, organizzando un vero e proprio posto di blocco sul Brennero, alla frontiera tra Austria ed Italia. L’hanno ribattezzata “La battaglia di Natale” e sono determinati a portarla avanti ad oltranza; hanno cominciato a bloccare e perquisire tutti i Tir di passaggio per mostrare, a favore di telecamere e macchine fotografiche, quintali di materie prime provenienti dall’estero e destinate a finire sulla tavola dei consumatori attraverso prodotti commercializzati come italiani. L’obiettivo dei manifestanti è uno solo: etichettatura obbligatoria ed esaustiva per ogni alimento venduto in Italia. In modo da consentire la distinzione tra ciò che è lavorato qui ma con materie prime importate e ciò che, invece, è “made in Italy” dall’inizio alla fine.
Istinto di sopravvivenza. Quella di Coldiretti è una battaglia per la qualità del cibo e per la trasparenza delle informazioni date ai clienti. Ma è anche e soprattutto una battaglia per la sopravvivenza. Dal 2007 ad oggi, infatti, hanno chiuso i battenti ben 140 mila aziende operanti nell’agroalimentare; 32 mila solo nell’ultimo anno. Un’ecatombe, la cui causa principale, secondo i diretti interessati, è l’impossibilità di reggere i ritmi di una concorrenza che i produttori italiani definiscono sleale: quella di chi abbatte i costi importando materie prime dall’estero senza però perdere la possibilità di sfruttare il marchio “made in Italy”. Un etichettatura più chiara, invece, permetterebbe di ovviare al problema, consentendo al consumatore di fare scelte consapevoli e rimettendo in carreggiata molti piccoli e medi imprenditori. O almeno questa è la speranza della Coldiretti.
Comments