Adesso Obama rischia di aiutare i qaedisti
L’ANALISI – Venti di Guerra in Medio Oriente; Stati Uniti e Gran Bretagna minacciano un intervento mentre l’Onu frena; Lakdar Brahimi, ha infatti ricordato che il diritto internazionale è chiaro sul fatto che per un intervento militare è necessaria una decisione del consiglio di sicurezza dell’Onu.
Anche il Ministro degli Esteri Emma Bonino è cauta, parla di “orrore” per gli attacchi chimici in Siria, ma torna a ripetere che per un eventuale intervento “serve un quadro di legalità internazionale“. La titolare della Farnesina ha spiegato che “l’orrore per quanto è successo è ampiamente condivisibile, ma c’è una differenza nella valutazione sull’utilità di un intervento armato”, anche perché “nascono tutti limitati e poi diventano illimitati“. Utilità tra l’altro molto dubbia in questo caso ed è lecito porsi una domanda: chi trarrebbe beneficio da un eventuale attacco aereo nei confronti di obiettivi del regime siriano?
Le reali forze attualmente in campo in Siria sembrano essere il regime di Assad e i Jihadisti di Jabhat al-Nusra, i secondi armati e addestrati in modo migliore rispetto ai ribelli siriani, grazie anche al supporto economico da parte dei paesi del Golfo. L’Esercito Libero Siriano risulta invece indebolito e frammentato: a livello di armamenti non può certo competere con il regime di Assad né con al-Nusra e ha subito gravi sconfitte nelle ultime battaglie perdendo il controllo di diverse zone strategiche al confine col Libano, come ad esempio la cittadina di Qusayr. Un ELS messo in crisi anche dal sostanziale affidamento fatto sulle brigate qaediste di Jabhat al-Nusra, formazione di stampo jihadista e salafita; un vero e proprio corpo estraneo ben lontano dal contesto sociale, culturale e religioso siriano che da sempre si basa sulla reciprocità e la tolleranza.
Le due fazioni sono più volte arrivate ai “ferri corti”, come dimostra l’assassinio a inizio luglio di Kamal al-Hamami, alto ufficiale dell’Esercito Libero Siriano, ucciso nel porto di Latakia da membri jihadisti di al-Qaeda Iraq, alleati di Jabhat al-Nusra.
Un eventuale indebolimento dell’esercito regolare siriano lascerebbe dunque campo libero ai jihadisti, i quali hanno già dimostrato di poter attaccare ELS e curdi, nonché di terrorizzare gli stessi siriani, che si tratti di cristiani, alawiti o sunniti che non condividono l’ideologia estremista del gruppo.
Un elemento interessante è il fatto che sembra siano stati proprio i curdi a dare maggior filo da torcere ai qaedisti tanto da arrivare a catturare Abu Musab, alto comandante dello Stato Islamico di Iraq e il Levante, rilasciato poco dopo in seguito al sequestro di 300 civili curdi da parte dei terroristi.
Se Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dovessero intervenire militarmente colpendo le infrastrutture militari di Assad, ciò potrebbe andare a vantaggio dell’ELS, ma verosimilmente sarebbe un’occasione ancor più ghiotta per gli estremisti di al-Nusra che potrebbero approfittare della situazione per impossessarsi degli armamenti del regime e incrementare la propria egemonia sul territorio. Questo gli Stati Uniti ed Israele lo sanno molto bene; Assad è ancora il pericolo minore rispetto alle fazioni più radicali e purtroppo anche le meglio armate della rivolta siriana.
Obama si è messo in trappola da solo; un anno fa tracciò una “linea rossa” di intervento, demarcandola con il ricorso alle armi chimiche da parte del regime di Assad, dunque rischia ora di perdere credibilità nel caso non dovesse optare per un intervento. Una credibilità tra l’altro messa pesantemente in discussione dalla sua politica mediorientale. L’eliminazione di Usama Bin Laden mai dimostrata e tutt’ora fonte di dubbio per molti americani. Un attacco in Libia che ha portato il paese nell’anarchia più totale, lasciando la popolazione in balia delle bande armate di stampo estremista. La tiepida se non inesistente reazione all’omicidio dell’ex ambasciatore Usa in Libia, Chris Stevens, ucciso dagli estremisti islamici.
Vi è poi l’ostinata condanna nei confronti della rivolta messa in atto dal popolo egiziano che ha portato alla caduta del governo dei Fratelli Musulmani. Fatto abbastanza strano per un paese che da sempre si pone come baluardo della democrazia.
Sono molti gli analisti che sostengono come gli Usa abbiano fatto affidamento sui Fratelli Musulmani e su un loro potenziale insediamento in paesi come la Libia, l’Egitto e la Tunisia; nei primi due casi il piano si è rivelato fallimentare, nel terzo caso pericolosamente in bilico.
La Siria però è diversa, la posta in gioco è troppo alta, il paese ha un’importanza geografico/strategica di gran lunga maggiore in quanto si tratta di un’area in cui confliggono gli interessi di tanti e di troppi: al-Qaeda, curdi, Turchia, Iran, Israele, paesi del Golfo, Russia e lo stesso Occidente. Un intervento militare rischierebbe di innescare una escalation che potrebbe trascinare l’intera regione oltre il punto di non ritorno.