Adesso la trattativa Stato-mafia rischia di restare solo un'ipotesi
In più d’uno ieri ha storto il naso alla notizia dell’assoluzione di Mario Mori dall’accusa di aver favorito la mafia. Secondo i giudici, però, l’allora comandante dei Ros non favorì la latitanza di Bernardo Provenzano né ci furono vicinanze pericolose con la mafia. I fatti contestati, dunque, «non costituiscono reato».
Se questo da un lato deve confortare il Paese perché riabilita quelle forze dell’ordine che dovrebbero e devono vigilare sulla sicurezza dello Stato, dall’altro l’assoluzione di ieri rischia di indebolire un altro importante procedimento, quello sulla trattativa Stato-mafia. Ad essere stato letteralmente demolito, infatti, è il presupposto di quel presunto accordo che doveva portare la mafia a non inferire più su un Paese tanto martoriato da non riuscire a rispondere colpo su colpo.
Un processo pericoloso, quello sulla trattiva, che ha fatto tremare più di una tra le alte cariche dello Stato, compreso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiamato in causa da intercettazioni non autorizzate. In poche parole, questa sentenza (il ricorso è dietro l’angolo) è la miglior arma per quanti negano che sia mai esistita alcuna trattativa con Cosa Nostra ai tempi delle stragi: e se Provenzano non fu “favorito” nella sua latitanza, allora è evidente che diventa difficile sostenere l’esistenza di un accordo segreto con lo Stato.