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Diritto di critica | November 25, 2024

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Istanbul, le vere ragioni della protesta - Diritto di critica

turchiaL’ANALISI – Quarto giorno di proteste e scontri a Istanbul, tre morti e più di 1700 arresti. Migliaia di persone sono scese in strada anche nella serata di domenica e dalle finestre delle abitazioni sventolano le bandiere turche.

Tutto è iniziato dopo la decisione del governo turco di abbattere centinaia di alberi a Gezi Park, vicino piazza Taksim, con l’obiettivo di costruirvi un grande centro commerciale, una moschea e di restaurare delle vecchie caserme dell’epoca ottomana. I manifestanti si sono riversati nelle strade per chiedere l’immediata cessazione del progetto e per chiedere la tutela di uno dei pochi spazi verdi rimasti in città. Argomento piuttosto sensibile visto che nei giorni scorsi il governo di Ankara ha inaugurato anche i lavori per la costruzione del terzo ponte sul Bosforo, che comporterà la distruzione di ulteriori zone verdi.

L’intervento delle forze dell’ordine turche è stato durissimo: cariche ripetute e violentissime, lancio di gas lacrimogeno, spray urticanti e cannoni d’acqua hanno interrotto il sit-in dei manifestanti. Durante gli scontri una camionetta della polizia turca avrebbe inoltre tentato di investire alcuni manifestanti.

Difficile avere dati definitivi sul numero dei feriti e delle vittime. Secondo il ministro dell’intero Muammar Guller i feriti sarebbero 79, mentre secondo Amnesty International ci sarebbero circa un migliaio feriti, di cui 5 in pericolo di vita. Tre invece i morti. Ferito anche Sirri Sureyya Onder, deputato del partito curdo Bpd e simbolo della protesta contro la distruzione di Gezi Park.

Le proteste si sono poi allargate a ben 48 città della Turchia, incluse Smirne e la capitale, Ankara; i manifestanti hanno gridato slogan contro Erdogan e chiedendo le dimissioni del governo.

Risulta evidente che una sommossa popolare di tali dimensioni, estesa a varie zone del Paese, non può essere dovuta esclusivamente alla distruzione di un parco cittadino, ma è plausibile che sia invece causata da un malcontento che regna da tempo all’interno di un’ampia componente della popolazione che ha più volte accusato il governo di procedere verso una graduale e silenziosa “islamizzazione” del paese, allontanandosi dalla storica tradizione laica Kemaliana. Di recente il governo Erdogan ha imposto un duro giro di vite sul consumo di alcolici, ritenuto dannoso per la salute. In un recente intervento il primo Ministro turco ha poi criticato il fatto che la birra venga spesso presentata come “bibita nazionale turca”, affermando che in realtà la bevanda turca per eccellenza è l’ayran, a base di yogurt, acqua e sale. Dichiarazione che ha portato a dure reazioni da parte dei laici che hanno replicato che la bevanda nazionale è il raki, un’acquavite aromatizzata all’anice con gradazione alcolica di circa 40%, diventata famosa proprio perché il padre della Turchia, Mustafa Kemal Attaturk, veniva spesso immortalato mentre la sorseggiava.

Ma non è tutto. La scorsa settimana la polizia di Ankara ha cercato di impedire “la protesta del bacio”, conseguenza di un intervento da parte delle autorità locali che avevano ripreso giovani che si stavano baciando in una stazione della capitale, invitandoli a un “comportamento morale”.

In realtà la situazione è più complessa e va ben al di là del moralismo di stampo ideologico-religioso e della “guerra delle bibite”; infatti al governo AKP viene anche contestato un rigoroso controllo sui media e non a caso fonti vicine all’opposizione di strada turca hanno dichiarato che soltanto due canali televisivi avrebbero adeguatamente trasmesso le immagini degli scontri.

Neo-liberalismo sfrenato e autoritarismo sono altri due elementi che sembrano caratterizzare il governo Erdogan. Un rapporto pubblicato dalla Solidarity with Arrested Students Platform parla di record di arresti e rivela che 771 studenti sarebbero attualmente in carcere.

Nel contempo prosegue la privatizzazione e la chiusura di spazi pubblici con un gran numero di luoghi simbolo che sono di conseguenza diventati obiettivo del nuovo boom edilizio guidato, secondo alcuni, da uomini d’affari vicini all’entourage di Erdogan. Un esempio evidente è il piano di demolizione dell’antico teatro Emek, che ha creato sconcerto e amarezza nel cuore di tantissimi turchi.

“Il teatro Emek è parte del patrimonio culturale di Istanbul e dovrebbe dunque essere preservato come tale. Per quale ragione dovrebbe essere fonte di reddito ad ogni costo? Ha bisogno di sostegno. Si chiude un museo e lo si trasforma in un centro commerciale, se non genera sufficiente profitto?” ha dichiarato Nil Kural, giornalista e membro del Fipresci.

La ristrutturazione urbanistica che coinvolge Gezi Park non è altro che parte di quel progetto di privatizzazione messo in moto dal governo; i manifestanti sanno bene che tali misure proseguiranno ed è dunque necessaria una mobilitazione collettiva e coordinata. Erdogan, invece, è ben consapevole della pericolosità delle rivolte coordinate e non a caso ha immediatamente accusato i social media definendo Twitter una “maledizione” e “una versione estrema della menzogna”; egli ha inoltre aggiunto “credo che i social media siano una spina nel fianco per la società”.

Il premier, infine, ha ammesso l’eccessiva brutalità della polizia, è stato invitato dal capo dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu, a scusarsi pubblicamente con il popolo turco.