Welfare, altro che spendaccioni: Francia e UK peggio di noi
Scritto per noi da Francesco Rossi
L’Italia spendacciona e assistenzialista esiste solo nelle parole dei signori dell’austerità. Uno studio della Bocconi racconta un paese diverso: i costi del nostro welfare sono in linea con quelli europei. Non spendiamo troppo, semmai spendiamo male.
“Il welfare è un lusso che l’Italia non può più permettersi”. Lo ripetono come un mantra i fautori dell’austerità, sostenendo che siamo il “brutto anatroccolo” d’Europa e che dobbiamo tagliare i costi del nostro “stato sociale”. Ma i numeri raccontano una realtà diversa. Uno studio del Cergas, centro studi dell’Università Bocconi, compara il welfare italiano con quello di Francia, Germania e Regno Unito. Il quadro che ne esce abbatte molti “falsi miti”.
I conti non tornano. Il primo luogo comune a capitolare, sotto i colpi della matematica, è quello della spesa pubblica, da molti ritenuta ipertrofica. La verità è che non siamo più “spendaccioni” dei nostri partner continentali. Lo Stato italiano, per funzionare, sborsa ogni anno una cifra pari al 50,6% del PIL. Meno del Regno Unito (51,9%) e della Francia (55,9%). Solo la Germania è più virtuosa e si ferma al 44,9%. Un risultato di tutto rispetto, se si considera che sui conti tricolore grava il peso di un ingente debito pubblico, che macina interessi; senza quelli (quasi 10% del PIL) saremmo “parsimoniosi” come i tedeschi.
Ma concentriamo sul “welfare”. Con il tempo ci siamo convinti di vivere in un paese assistenzialista, che “spende e spande” senza avere risorse sufficienti, mentre gli altri sono molto più oculati. Altro mito da demolire. L’Italia destina alle spese per lo “stato sociale” il 27,1% del PIL. Meglio fa solo il Regno Unito, con il 26,3%. Spendono di più, invece, sia Germania (28,4%) che Francia (addirittura 32,7%). E se pensate che le percentuali non rendano l’idea, sentite qua: ogni cittadino italiano percepisce, sotto forma di welfare, 7.000 euro l’anno. Troppo? Forse. Ma tenete conto che un francese ne incassa 9.000, un tedesco addirittura 10.000.
Luci ed ombre. Il Cergas parla chiaro: gli italiani non sono i più viziati d’Europa. La spesa pubblica e quella per il welfare sono in linea con quelle degli altri paesi. Questo, però, non significa che vada tutto bene. Scorrendo i dati del rapporto targato Bocconi qualche falla del sistema di welfare viene fuori.
Il primo problema riguarda la ripartizione delle risorse. Sotto la dizione “stato sociale” rientrano attività diverse: politiche per la famiglia e per la casa, lotta alla povertà, sistema pensionistico, ecc. Destinare i finanziamenti ad una piuttosto che all’altra può fare la differenza. Nel bilancio italiano alcune voci sono ancora troppo pesanti (come le pensioni, che si mangiano il 14% dei fondi, contro una media dell’11% negli altri paesi) ed altre praticamente inesistenti (l’housing sociale assorbe lo 0,02% del PIL). Un riequilibrio è necessario.
Altro problema: l’eccessivo centralismo. Il 74% dei soldi spesi in welfare vengono gestiti da istituti nazionali (INPS, INAIL, ecc.), un altro 24% passa per le mani di Stato e Regioni, solo il 2% è amministrato dai livelli di governo locali. Un minor accentramento, invece, permetterebbe di aumentare la capacità di controllo dei cittadini sulle modalità di gestione delle risorse.
In terzo luogo dovremmo imparare ad essere più selettivi. I sostegni elargiti “a pioggia”, senza basarsi su parametri in grado di selezionare chi ha davvero bisogno, fanno perdere efficacia all’intero sistema. Il risultato è una dispersione delle risorse, con tanti beneficiari che però spesso ricevono un sostegno insufficiente.
Insomma: abbiamo imparato a spendere poco, adesso dobbiamo imparare a spendere meglio.