La schermata nera contro la censura nell'Egitto di Mursi - Diritto di critica
Tempi sempre più duri per i giornalisti egiziani; lo scorso agosto il Comitato per la Protezione dei Giornalisti aveva denunciato il tentativo da parte di alcuni esponenti del governo Mursi, nonché dei suoi alleati e sostenitori, di mettere in atto una vera e propria repressione nei confronti di tutti quei giornalisti che criticavano il nuovo governo e i Fratelli Musulmani.
Tra i vari accusati c’era il noto cronista Ibrahim Abdel Meguid che aveva denunciato la soppressione della sua rubrica sull’al-Akhbar a causa delle critiche nei confronti della Fratellanza. Lo stesso al-Akhbar aveva rifiutato anche la pubblicazione di un articolo di Youseef el-Qaeed, un pezzo critico sui Fratelli Musulmani. La giornalista Abla al-Roweni aveva invece ricevuto “ordine” di moderare il suo pezzo sulla Fratellanza e, al suo rifiuto, il giornale è uscito senza pubblicare il suo pezzo. Il direttore del Comitato, Robert Mahoney, aveva criticato aspramente tali provvedimenti che rappresentano un grave passo indietro per l’Egitto.
La schermata nera. A inizio dicembre 2012 diversi quotidiani egiziani avevano scioperato contro il tentativo di limitare la libertà di espressione nel paese. Il sito dell’Egypt Independent, uno dei maggior quotidiani egiziani, apriva con una schermata nera con la seguente scritta: “State leggendo questo messaggio in quanto l’Egypt Independent si oppone alle continue restrizioni alla libertà dei media, in particolar modo dopo che centinaia di egiziani hanno dato la vita per la libertà e la dignità”.
Il caso di Mohamed Sabry. Nel frattempo Amnesty International chiede a gran voce il rilascio del giornalista Mohamed Sabry, arrestato dall’esercito la scorsa settimana nella penisola del Sinai, con l’accusa di essersi introdotto in una zona militare e aver girato dei filmati. Sabry stava lavorando a un servizio per conto della Reuters su un nuovo decreto militare che impone restrizioni sul possedimento di terre nel Sinai. La nuova Costituzione approvata il mese scorso, però, permette all’esercito di processare tutti quei civili che vengono sospettati di mettere a repentaglio la sicurezza delle forze armate, una legge controversa che mette a serio rischio la libertà di espressione. E Hassiba Hadj Sahroui, direttrice di Amnesty International Medio Oriente, ha fatto notare come sia preoccupante il fatto che un giornalista venga arrestato dai militari semplicemente per aver svolto il proprio lavoro.
Le proteste dei jihadisti. Al Cairo invece l’Organizzazione per la Jihad ha richiamato i sostenitori del leader salafita Hazem Abu Ismail affinchè il 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, si rechino fuori del Media Production City per protestare contro presunte campagne anti-islamiste e per chiedere a Mursi il licenziamento del Ministro dell’Informazione, accusato di non essere stato in grado di controllare i media col “pugno di ferro”. Lo scorso dicembre ulteriori proteste contro i media erano state inscenate dai salafiti, proteste che lo scorso lunedì hanno ricevuto l’appoggio di Abu Ismail, il quale ha dichiarato al canale satellitare privato Mehwar che “i media devono scusarsi per aver istigato gli egiziani a lotte politiche interne”.
Una campagna a suon di denunce. Un recente rapporto della Arabic Network for Human Rights Information ha denunciato il triste record da parte di Mursi per quanto riguarda le denunce nei confronti di giornalisti e personaggi legati ai media i quali, secondo il neo presidente, lo avrebbero insultato; infatti, secondo l’ ANHRI il numero di denunce sarebbero di quattro volte maggiori rispetto all’era Mubarak e 24 volte maggiori rispetto a quella di Sadat. Considerato che Mursi è al potere solamente da meno di un anno, le prospettive non sono affatto rassicuranti. E l’ANHRI è in procinto di pubblicare sul proprio sito un rapporto con tutti i dettagli delle violazioni nei confronti dei media da parte del governo Mursi, inclusi tutti i nomi di giornalisti e cittadini colpiti da provvedimenti per aver insultato Mursi.
Il lavoro del giornalista in Egitto diventa dunque sempre più complicato visto che, se prima della caduta di Mubarak i giornalisti avevano il fiato del regime sul collo, ora che il regime non c’è più si sentono accerchiati su più fronti.