La blasfemia, per i sauditi corre sui Social Media
Il venticinquenne saudita Raif Badawi, attivista per i diritti umani e blogger, è stato trasferito alla Corte Penale dell’Arabia Saudita e rischia la pena capitale con l’accusa di apostasia. Badawi (nella foto) venne arrestato nel dicembre del 2009 all’aeroporto di Jeddah mentre era in procinto di imbarcarsi su un volo per Beirut; le autorità non gli fornirono alcuna motivazione ma risulta ormai chiaro come l’arresto sia legato al sito internet da lui gestito, “Free Saudi Liberals”. Secondo documenti dell’accusa, l’imputato avrebbe pubblicato sul sito materiale che mette a repentaglio l’ordine pubblico, viola i valori islamici, insulta Dio e attacca alcune alte autorità religiose del regno come il Gran Muftì. In aggiunta, sempre secondo l’accusa, Badawi avrebbe pubblicato commenti sarcastici sulla polizia religiosa, accusandola di brutalità e un post con il quesito:”è Dio iniquo?”.
Il legale di Badawi ha dichiarato su Twitter che nel procedimento a carico del suo cliente vi sono ben tredici violazioni di regole giudiziarie e legali ed ha richiesto l’intervento del Ministro della Giustizia. Dalla scorsa estate il regime saudita sta ponderando nuove regolamentazioni per punire più severamente il reato di blasfemia, con particolare attenzione ai “social media”.
La vicenda di Badawi ricorda molto quella di Asia Bibi, la donna pakistana di fede cristiana arrestata nel 2009 con l’accusa di blasfemia e condannata all’impiccagione. Asia Bibi venne aggredita da alcune donne musulmane le quali volevano impedirle di toccare l’acqua in quanto cristiana e quindi “impura”, ne sarebbe nata una discussione nella quale la Bibi, secondo quanto affermato dalle donne, avrebbe insultato Maometto. Nei giorni seguenti il gruppo di donne si è recò dal marito di una di loro, un imam della zona, il quale sporse denuncia alle autorità; la donna venne quindi arrestata con l’accusa di aver violato la legge 295c, quella appunto sulla blasfemia.
Nel gennaio 2011 il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, recatosi a trovare Asia Bibi in carcere e impegnatosi nella revisione delle norme sulla blasfemia, venne ucciso da una delle sue guardie del corpo, ideologicamente vicina agli estremisti islamici. Nel frattempo la donna continua a ricevere minacce dai talebani, tant’è che la polizia è stata costretta a rafforzare le misure di sicurezza attorno alla sua cella.
E’ accettabile per una società civile, nel vero senso del termine, condannare un essere umano a morte per un atto considerato blasfemo? Divinità, testi sacri e dogmi non hanno diritti e doveri a differenza dei cittadini, è razionalmente possibile attentare all’onore di una divinità o di un profeta? Dio ha veramente bisogno di protezione da parte di un sistema giudiziario umano?
La blasfemia è figlia della religione e paradossalmente la rafforza attraverso la sua trasgressione; certe autorità religiose hanno disperato bisogno della blasfemia per mostrare i muscoli, per strumentalizzarla con l’obiettivo di mantenere quel controllo sociale che è alla base del fanatismo teocratico; quel fanatismo che, per ovvi motivi, osteggia anche l’istruzione in quanto strumento pericoloso che permette a uomini e donne di uscire dall’ignoranza, di acquisire la capacità di scindere e di ragionare con la propria testa.
Alcuni sostengono che la società teocratica si basa su leggi divine, ma tali leggi non sono forse il prodotto di interpretazioni umane basate su fonti religiose? Può l’uomo avere la presunzione di rappresentare la legge di Dio sulla terra? Sarà un caso che il regime saudita ha deciso di inasprire le leggi anti-blasfemia proprio in concomitanza con lo scoppiare delle rivolte nei paesi colpiti dalla “Primavera Araba”, affermando che offese nei confronti di alte cariche religiose e dello Stato e dichiarazioni che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale saranno severamente punite?
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Grazie a questo articolo ho potuto lanciare una petizione su Avaaz. Naturalmente vi ho citati. Grazie!
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