L'ecatombe dei giornalisti al tempo della crisi, oltre mille posti di lavoro a rischio - Diritto di critica
Un’ecatombe. È la prima cosa che si pensa leggendo i dati dell’Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani), secondo cui, nei primi 9 mesi del 2012, sono 58 le aziende editoriali che hanno fatto ricorso a cassa integrazione, prepensionamenti e contratti di solidarietà. Il risultato? Su un totale di 110mila giornalisti appartenenti ai due Albi, ben 1139 giornalisti saranno coinvolti da queste misure. La maggior parte in Lombardia, dove i giornalisti a rischio sono 720. Perché, diciamolo chiaramente, la crisi dell’editoria è prima di tutto la crisi di chi nell’editoria ci lavora, giornalisti in primis.
Ma crisi dell’editoria non è solo quella delle piccole case editrici che soccombono al mercato globalizzato e capitalista (fatto già di per sé gravissimo), ma anche la crisi dei grandi gruppi editoriali. Calo delle vendite e della pubblicità costringono, da tre anni, quotidiani e periodici a tagli pesantissimi. A farne le spese, dunque, sono sempre i più deboli: i collaboratori, l’orda di freelance e precari che ormai raggiungono un numero impressionante (alcuni dati dicono che sono quasi 25mila). Lo “stato di crisi” che lo Stato italiano ha concesso alle testate è stato più volte rinnovato dalle stesse. È il caso della più importante agenzia di stampa italiana, l’Ansa, che il 28 febbraio scorso ha siglato, con il CdR, l’intesa per il nuovo stato di crisi: in questo modo ha prepensionato 31 giornalisti su 345. Non dimentichiamo però che già due anni fa aveva alleggerito la redazione di altri 60 colleghi. E al secondo stato di crisi c’è arrivata anche Rcs Periodici: 21 esuberi in Cigs che diventeranno prepensionamento.
Tra le vicende più raccapriccianti c’è sicuramente quella di Acacia Edizioni, fallita il 21 dicembre del 2011 e che, dopo aver dismesso tutte le testate, le ha fatte confluire in una nuova società, la 1Plus. Dei suoi 11 giornalisti tutti in cassa integrazione si sa che sono approdati alla 1Plus, e si sa anche che sono tutti, ancora, in cassa integrazione. Cassa integrazione che, è noto, un giorno finirà. In Cigs sono anche i 18 giornalisti di Nuova Informazione che, dopo aver sospeso la Cronaca di Cremona e la Cronaca di Piacenza, deve anche fare i conti, in quanto cooperativa, con un’inchiesta aperta dalla Guardia di Finanza per “truffa ai danni dello Stato”.
Ma male, malissimo, vanno anche Rcs con il quotidiano freepress City (è stato chiuso, 16 giornalisti in Cigs e 2 ricollocati all’interno del Gruppo) e Il Sole24Ore. L’accordo tra quest’ultimo e il suo CdR prevede il contratto di solidarietà: cioè, riduzione dell’orario di 3 giorni al mese per i 255 giornalisti a partire dal primo febbraio 2012. In contratto di solidarietà, al 50% dal primo marzo 2012, sono anche i giornalisti della Padania, dopo aver passato gli ultimi quattro anni e mezzo in cassa integrazione. Da metà settembre fino a fine anno, poi, i redattori lavoreranno sia al cartaceo che all’online, mentre dal 2013 sarà tutto online salvo un’unica pubblicazione cartacea per il sabato.
Gaetano Caltagirone di C5 Editori ha chiuso, senza alcun accordo sindacale, sia la Gazzetta di Sesto San Giovanni, sia Il Diario del Nord di Milano, lasciando a casa una ventina di giornalisti ed un collaboratore. A Libero invece i 57 giornalisti si sono visti ridurre l’orario di lavoro del 24%, eccezion fatta per le “firme”: giusto a sottolineare, nel caso ce ne fosse stato ulteriormente bisogno, quella linea di confine invalicabile tra contrattualizzati e precari. Ma la mossa indubbiamente più antisindacale l’ha fatta Class Editori: non solo ha sospeso Campus mettendo in Cigs 4 giornalisti; non solo ha prepensionato un giornalista mettendo gli altri in Cigs a Case&Country, ma ha addirittura decurtato del 10% lordo lo stipendio degli altri giornalisti! Tutto ciò inserendo nella busta paga una lettera per l’applicazione di un accordo (peraltro, già attuato nel 2009), nel quale i redattori accettavano volontariamente la decurtazione. Ma non è finita qui: anche per quel 25% che non ha accettato la clausola, l’editore l’ha comunque applicata. Ora speriamo che la Fnsi e le varie Assostampe regionali facciano sentire la loro voce.
Non se la passano meglio alla Poligrafici Editoriale, il gruppo che edita Il Giorno, Resto del Carlino, Nazione e QN: 55 esuberi su 376 giornalisti che continuano a lavorare grazie al prepensionamento volontario e al contratto di solidarietà del 14% valido fino al 31 maggio 2014. E la lista potrebbe continuare ancora e ancora. Gruppi diversi per storie uguali, a rimetterci sono sempre e solo i giornalisti, preferibilmente se collaboratori o precari o freelance.
La verità, amara, è che la fine non si vede, nonostante l’Inpgi abbia superato lo stress test della Fornero: per altri 50 anni le casse dell’Istituto saranno salve. Ciò che non sarà salvo è il posto di lavoro di quanti, ogni giorno, provano a raccontare quello che non va in condizioni di caporalato e sfruttamento, discutendo con un Ministro che non si decide ad approvare nemmeno una legge tanto banale quanto necessaria come quella sull’equo compenso.
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