Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | November 25, 2024

Scroll to top

Top

La testimonianza - Io, fotografo di guerra, vi racconto l'inferno della Siria - Diritto di critica

Olivier Voisin è un fotografo di guerra: a 22 anni seguiva l’armata israeliana in Libano, l’anno scorso è stato ad Haiti, in Libia, in Egitto ed è da poco tornato dall’inferno di Aleppo, in Siria. Dai suoi racconti l’orrore e i frammenti della quotidiana guerra che si accanisce soprattutto sui civili. “Nell’agosto scorso – racconta – sono stato in Siria, ad Aleppo, nella regione settentrionale, tra la piccola città di Azaz, a una cinquantina di kilometri da Aleppo, e ad Aleppo stesso, in tre quartieri della città: a sud di Salahedinnes, il quartiere della vecchia città di Bab al Nasr dove in seguito ho deciso di rimanere a dormire e il quartiere di Al Chaar”.

LE FOTOGRAFIE DI OLIVIER VOISIN

In che modo hai raggiunto la Siria?

Recarsi in un paese in guerra è sempre molto complesso,  in questo caso lo è ancora di più in quanto non ci sono veri fronti o zone di combattimento. Tutto è molto instabile e varia a seconda dei giorni. Questo avviene soprattutto nella città di Aleppo. Sono partito da Parigi un sabato in direzione di Istanbul, Turchia, e poiché sono arrivato tardi nella notte, sono ripartito per il sud della Turchia soltanto il giorno dopo per raggiungere in aereo la città di Gaziantep e da lì in macchina per arrivare finalmente nella città di Kilis che si trova a 5 km dalla Siria: avevo saputo da alcuni colleghi che il posto di frontiera era aperto. Insomma è stato molto più complicato che se fossi passato da Hatay.

Quali sono stati i tuoi spostamenti?

La prima sera sono rimasto a Kilis, per ritrovare alcuni colleghi e amici di una tv francese per  scambiarci le ultime notizie e alcuni contatti. Il giorno dopo sono partito per la frontiera con la mia borsa di macchine fotografiche ed uno spazzolino da denti, lasciando cosi tutte le mie cose in Turchia come seconda base logistica per almeno raggiungere la prima città siriana di Azaz al nord, perché era stata una delle prime città ad essere stata liberata qualche mese prima. Per me si trattava soprattutto di prendere dei punti di riferimento, vedere il terreno, vedere dove sono le prime difficoltà, trovare dei contatti anche sul posto, una macchina, un autista, in breve tutto quello di cui si ha bisogno per potersi spostare e lavorare. Era anche molto importante farlo perché il mio redattore arrivava verso la fine della settimana e qualsiasi cosa fosse successa era necessario che tornassi almeno una volta in Turchia. Ad Azaz tutto andava bene: bellissima accoglienza da parte della popolazione che mi trova subito un posto dove dormire. I siriani erano anche riusciti ad avere la connessione internet ad alta velocità dalla Turchia. A questo punto ho realizzato che proprio quella poteva diventare una perfetta seconda base di lavoro, la prima in Turchia con tutte le borse, gli obiettivi di soccorso etc. La sera incontro un autista che parla inglese e con dei colleghi spagnoli, giapponesi e francesi, decidiamo di dividere le spese e di andare insieme ad Aleppo. Siamo arrivati il martedì alle 12.00.

Che situazione hai trovato ad Aleppo?

Due aneddoti illustrano il nostro quotidiano. Il primo: il giorno di arrivo ad Aleppo, con la collega spagnola decidiamo di rimanere insieme per coprire il quartiere di Salahedinnes che si trova a sud. Avanziamo a piccole tappe perché né lei né io conosciamo la città né il quartiere. Con l’autista prendiamo le informazioni da Katiba a Katiba (le Katiba sono le unità ribelli di combattimento) e talvolta un uomo dell’ASL (Armata Siriana Libera) sale in macchina con noi e ci accompagna. Passa poco tempo e ci rendiamo conto che ci stiamo avvicinando ai combattimenti perché il rumore dell’artiglieria si fa sempre più vicino cosi come gli spari delle armi automatiche. Arriviamo all’ultima Katiba del quartiere. Una quindicina di uomini iniziano a prepararsi. E sai che ci sei. Gli sguardi, il SILENZIO,  la concentrazione, l’ultima preghiera. Soprattutto il silenzio… Sempre così impressionante. Una moto arriva e apre la strada per capire se i prossimi metri sono praticabili. I cecchini sono ovunque per cui bisogna fare molta attenzione a ogni incrocio di strada. E l’attacco inizia. I tuoi sensi sono tutti aperti, senti tutto, il tuo sguardo è dappertutto, e rimani il più in basso possibile. E qui inizia, si spara, si corre e tu segui. All’inizio sei lontano e poi poiché io lavoro con un 24 mm, ti avvicini ancora ed ancora, per riuscire a stare con l’uomo che apre la colonna. L’artiglieria bombarda non lontano ma poiché siamo molto vicini alle forze lealiste (meno di 50 metri) sono soprattutto le armi individuali che sputano i loro pezzi di metallo che uccidono o atrofizzano per sempre un corpo. E l’attacco finisce. Nessun ferito, decidono di ritornare alla Katiba…Strano…Eravamo avanzati e alla fine invece facciamo marcia indietro. Nel momento in cui indietreggiamo arrivano sul lato i colpi di carro armato, siamo chiaramente presi di mira. C’è cosi tanto fumo e polvere che la mia collega spagnola ed io veniamo divisi. Mi ritrovo da solo con un soldato che per tornare indietro spara alcuni colpi di copertura in modo che io possa correre e mettermi al riparo a qualche metro di distanza. Iniziano nuovi spari e corriamo di nuovo. Alla fine ritrovo la mia collega spagnola.

Il secondo aneddoto riguarda la cittadina di Azaz. Decidiamo di rientrare ad Azaz non troppo tardi per poterci riposare e conoscere meglio i colleghi che hanno deciso come me di installarsi in questa città. Lasciamo Aleppo insieme all’autista, sempre lo stesso. Fumiamo, beviamo molta acqua, facciamo qualche battuta. Nel momento in cui arriviamo ad Azaz apprendiamo che la città è stata colpita appena una ventina di minuti prima da almeno due bombe. Una di queste è caduta a 50 metri dal luogo dove avevo dormito la notte precedente e dove avevamo mangiato insieme a quelle stesse persone che ora vedevamo inerti, morte… con una sola bomba tutta la piazza del mercato coperto era stata rasa al suolo. Non era rimasto in piedi un muro. Mentre osserviamo la scena agghiacciante, alcune persone cercano eventuali sopravvissuti. Ci sono soltanto morti e detriti, la gente non ha più la forze di lasciare spazio alla rabbia. Nel mentre, cadono altre due bombe. In quel momento facciamo il nostro lavoro. Apprendo il giorno dopo che quella bomba ha fatto 80 morti. Per poter mandare le foto decido quindi di rientrare per la notte in Turchia.

Ribelli e forze del governo, non si rischia di raccontare soltanto una parte del conflitto?

Non so se è un rischio. In ogni caso sei troppo vicino alla gente per pensare. E così lasci questa valutazione alle persone che hanno il distacco per analizzare le cose. Ma tu non puoi. Andiamo dove possiamo. Quando ci metti 3 ore per fare 50 km perché stai attento agli aerei, agli elicotteri e ai check points,  e che tutto questo piccolo mondo ti spara addosso, sono già delle condizioni di lavoro abbastanza complicate! Se avessi potuto andare dai lealisti ci sarei andato ovviamente! Abbiamo cercato con un vecchio amico e collega di andare nei quartiere cristiani di Aleppo. E nonostante i contatti che avevamo con alcune congregazioni era impossibile recarsi su questi quartieri. L’obiettività è molteplice: per prima cosa la scelta delle foto che pubblichi. Se ho un dubbio su una foto, come per esempio l’interpretazione che se ne può fare nella stampa, la elimino. Le didascalie sono molto importanti: dove stavi, quando, con chi, cos’è successo ? etc. Ci ricordiamo spesso soltanto di una foto, quella che sarà sulla prima pagina, ma è innanzitutto una serie di foto che racconta una storia. A volte soltanto 4 foto sono necessarie, a volte hai cosi tanto da dire che ne utilizzi 40.

Come hai iniziato la tua carriera di fotografo?

Ho iniziato a fare fotografia quando avevo 17 anni. Ma il momento in cui veramente ho iniziato a padroneggiare qualche tecnica è stato a 20 anni a Lione, in Francia. La prima foto pubblicata è un incidente di macchina e camion per l’edizione della domenica del giornale locale ! La settimana successiva avevo la prima pagina con alcuni scatti su una serie di manifestazioni studentesche. Tutto è poi andato abbastanza velocemente: la Polonia per un quotidiano nazionale, poi il Vicino Oriente. A 22 anni mi sono ritrovato nel sud del Libano, al seguito dell’armata israeliana. L’anno scorso è stata la volta di Haiti, Libia, Egitto, Brasile, le sommosse di Londra, il Kenya, la Somalia… Partire costa molto caro e la maggior parte delle volte non entro nelle mie spese.

Qual è il senso ultimo della tua professione?

Quello che mi interessa ora non sono soltanto i luoghi di conflitto, ma piuttosto i momenti di rottura quando l’essere umano è ai limiti delle proprie scelte…Continuare ad essere umano.

Twitter@emilioftorsello

(Traduzione: Nadia Stefanelli – Fotografia: Olivier Voisin)

Comments