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Diritto di critica | November 22, 2024

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L'Egitto verso la legge antiblasfemia, un'arma per vendette e soprusi

L’Egitto segue le orme del Pakistan sulle leggi anti-blasfemia. I rappresentanti di diversi partiti politici egiziani si sono riuniti in settimana per discutere il controverso articolo che proibisce la derisione di Dio, dei profeti, nonché le mogli e i compagni di Maometto. I partiti islamisti e, in particolare, il Freedom and Justice Party attualmente al governo e il partito al-Nour, legato ai salafiti, premono per un’inclusione dell’articolo in ambito costituzionale, affermando che non violerebbe le libertà  garantite dalla nuova Costituzione. Membri degli schieramenti liberali hanno però espresso preoccupazione per un suo potenziale inserimento in quanto potrebbe avere delle conseguenze negative sulla libertà di espressione.

Ennesimo grattacapo dunque per il neoeletto Mursi che lo scorso mercoledì alla Conferenza Generale dell’Unione Studenti ha dichiarato che l’Egitto è uno stato civile e non una teocrazia; dichiarazione che rischierebbe di entrare in seria contraddizione con un inserimento dell’articolo anti-blasfemia nella Costituzione.

Questione di giornalismo. Ma c’è di più, infatti a fine agosto il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ha denunciato il tentativo da parte di esponenti del governo Mursi, dei suoi alleati e sostenitori di reprimere tutti quei giornalisti critici nei confronti del governo e dei Fratelli Musulmani. Attacchi che in alcuni casi sono anche degenerati in violenza, come lo scorso 8 agosto quando tre giornalisti sono stati aggrediti da dimostranti pro-Mursi. Tra gli accusati spunta anche il periodico al-Akhbar, il cui noto giornalista Ibrahim Abdel Meguid, ha affermato che la sua rubrica settimanale è stata soppressa a causa delle critiche nei confronti della Fratellanza Musulmana. Stessa sorte per Youseef el-Qaeed che si è visto rifiutare dal medesimo giornale la pubblicazione di un suo articolo dove criticava i Fratelli Musulmani per gli attacchi nei confronti dei giornalisti. Abla al-Roweni ha invece ricevuto ordine di “moderare” il suo pezzo dove criticava la Fratellanza;  al suo rifiuto non ha più ricevuto risposta e il giorno dopo il giornale è uscito senza pubblicare il suo articolo. Sarebbe poi giunta voce che lo stesso periodico avrebbe intenzione di cancellare la rubrica quotidiana “Libere Opinioni”,  nella quale scrivono sia El-Qaeed che Meguid. Robert Mahoney, direttore del Comitato, ha dichiarato come tali azioni siano un grave passo indietro che il presidente Mursi non dovrebbe fare.

A questo punto, se tali accuse risultassero fondate, un inserimento della legge anti-blasfemia nella Costituzione egiziana rischierebbe di compromettere seriamente la libertà di espressione in un paese che per troppo tempo è dovuto sottostare a limitazioni  da parte di un regime militare e che ora non ne merita di certo ulteriori di stampo islamista.

Solo un pretesto. Oltretutto è purtroppo noto come le leggi anti-blasfemia vengano spesso utilizzate come pretesto per vendette personali e attacchi nei confronti delle altre comunità religiose. Un esempio lampante è l’arresto avvenuto pochi giorni fa in Pakistan dell’imam Khalid Jadoon che, attraverso tali leggi in vigore nel paese, avrebbe complottato contro una ragazzina cristiana con la sindrome di down, nascondendole pagine strappate e bruciate del Corano in un sacchetto, per poi denunciarla come blasfema.

Il caso Pakistano. La Commissione per i Diritti Umani del Pakistan ha documentato migliaia di casi di blasfemia dal 1988 che hanno colpito musulmani, cristiani e ahmadi. In molti casi i processi sono risultati in un nulla di fatto a causa di mancanza di sussistenza delle accuse e carenza di prove, ma in alcuni casi si è anche giunti alla condanna a morte e oggetto di tali verdetti risultano anche una dozzina di cristiani, con l’accusa di aver insultato il profeta Maometto; un caso esemplare è la condanna di Asia Bibi, tutt’oggi in carcere e in attesa di sapere quale sarà il suo destino.

La legge anti-blasfemia rischierebbe dunque di essere utilizzata anche in Egitto, non solo per limitare la libertà di espressione e come pretesto per regolamenti di conti personali,  ma anche per attacchi nei confronti di altre confessioni, fatto che potrebbe preoccupare anche la numerosa Comunità copta egiziana.

Comments

  1. barbara 78r

    OOttima analisi e ottima conclusione. Poveri egiziani! Dalla padella nella brace. Ma perchè è cosi difficile raggiungere la LIBERTA?