Ora il Pdl vorrebbe un Matteo Renzi (per tacer di Silvio)
Berlusconi non è candidabile. Per il bene del partito, inchiodato a un magro 20% nei sondaggi e per le percentuali che non hanno minimamente risentito dell’effetto annuncio sulla possibile ridiscesa in campo del Cav. Se da un lato Mr.B. è di certo il leader più in vista del partito, l’unico ancora in grado di trascinare un minimo il Pdl e far notizia, dall’altro ormai la bilancia vantaggi/svantaggi sembra non pendere più a suo favore. Per diversi motivi.
Lo scandalo Ruby. La corsa per le elezioni nel dopo Monti rischia, in primis, di essere inficiata dalla sentenza di primo grado sul processo Ruby. Il verdetto dei giudici è atteso entro la fine dell’anno e pende come una spada di Damocle sulla testa del Cavaliere. Inutile sottolineare che questo sarebbe il tallone d’Achille su cui punterebbero gli avversari, a iniziare dal Partito democratico e da Grillo.
Il vecchio cerone. Berlusconi, però, è incandidabile anche per la percezione che di lui ha ormai l’opinione pubblica (anche di destra). In un agone prelettorale in cui la parola d’ordine è “rinnovamento” (di programmi, volti e partiti), il ritorno del vecchio “cerone” certo non aiuterebbe a far percepire quello di centrodestra come un partito capace di rinnovare l’Italia. E la questione – come si è visto nel recente passato – investe anche il nome stesso del Pdl, tramortito dagli scandali sessuali che hanno travolto il Cav. Se infatti Forza Italia ancora evoca la grinta della “novità” che nel 1994 simboleggiò Silvio Berlusconi, il Popolo delle Libertà è ormai avvertito come un naviglio su cui sono saltati politici che hanno governato male, portando l’Italia nel baratro della crisi, e da cui il timoniere è saltato giù un attimo prima dell’affondamento.
Un Renzi per il Pdl. Di contro, però, Berlusconi sembra l’unica soluzione possibile quantomeno per salvare la faccia del Pdl: ora come ora nessuno, all’interno del Pdl, ha la forza e il carisma tale per guidare la squadra nella tempesta della campagna elettorale. Non Angelino Alfano, volenteroso e pieno di buoni propositi, che pur di sopravvivere si è sempre adeguato alle decisioni del Cavaliere, appoggiando addirittura la ridiscesa in campo di B. a scapito del suo (di Angelino) futuro politico. Non uno degli ex An o degli altri esponenti ex Forza Italia, tutti gregari buoni per i dibattiti politici ma privi del carisma tale da guidare una coalizione di governo. Al Pdl, insomma, sembra mancare quel Matteo Renzi che a sinistra sta mettendo in croce il Partito democratico.