Un incubo di nome spread e la convinzione che si stava meglio quando si stava peggio - Diritto di critica
Dopo il venerdì nero, ecco un lunedì drammatico. Ci risiamo, ieri lo spread Btp/Bund è salito abbondantemente sopra i livelli di guardia a 529,8 (il livello più alto mai toccato da gennaio scorso quando salì a 531,8), per poi chiudere a 516 punti base. Con rendimento al 6,33%. Significa ricominciare a tremare, visto che ad agosto la situazione è data in peggioramento.
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Piazza Affari, ha chiuso negativa a meno 2,76%, ma l’indice Ftse Mib è arrivato a perdere fino al 5%, recuperando solo a seguito della decisione della Consob di vietare le vendite allo scoperto per una settimana. Vale a dire che è vietato vendere titoli senza esserne in possesso. Si tratta di una misura drastica per tentare di arginare l’ondata speculativa. Una misura che non si spiega mai bene per quale ragione non venga applicata se non quando ci si trova sull’orlo dell’abisso. Visto che, per fare un esempio, l’equivalente spagnola della Consob ha vietato le vendite allo scoperto per ben tre mesi e la borsa di Madrid, oggi, ha via via arginato le perdite chiudendo in negativo all’1,1%. Quasi un “successo” a fronte delle batoste registrate da Francoforte (-3,18%) e Parigi (- 2,89%).
Per la Germania (assieme a Olanda e Lussemburgo) poi, è arrivato anche il nuovo outlook di Moody’s, passato da stabile a negativo. Un duro colpo, a cui Berlino ha reagito stizzita. Che di per sé non comporterà niente di decisivo – i Bund, ora, vengono comprati anche con rendimento negativo, il che la dice lunga sulla sicurezza offerta – ma è un segnale importante, anche su ciò che ci si attende dai tedeschi.
La Commissione Ue, per rassicurare i mercati, ha dichiarato di avere gli strumenti per affrontare la situazione: il fondo salva-Stati Efsf e la possibilità di acquistare i titoli dei Paesi in difficoltà. Mentre – per bocca di un portavoce -, ha fatto sapere che l’attivazione dello scudo antispread va richiesta da uno stato membro.
Avvisato dell’impennata del differenziale tra titoli del Tesoro e gli equivalenti tedeschi, anche Mario Monti, in missione sul Mar Nero – a Sochi, dove ha incontrato Vladimir Putin – ha parlato di scudo anti spread. Secondo il premier il nervosismo sui mercati è dettato da “motivi che hanno poco a che vedere con problemi specifici dell’Italia ma piuttosto con notizie, dichiarazioni o indiscrezioni sull’applicazione delle decisioni del Consiglio Ue”. Quindi il problema è proprio l’applicazione dello scudo anti spread. Dopo un lunedì da incubo anche per la borsa americana, gli Stati Uniti continuano a fare pressione affinché la situazione si sblocchi e si dia attuazione alle determinazioni dell’ultimo summit. Monti, intanto, nega la necessità di un vertice europeo straordinario, dato che l’ultimo ha fatto registrare, a detta del premier, dei “rilevanti passi avanti”. Insomma, secondo Monti, l’Italia non c’entra, è l’applicazione dello scudo anti spread a turbare i mercati e non il nostro debito. Tuttavia viene da chiedersi cosa abbiamo fatto per arrivare a questo punto? Anzi cosa non abbiamo fatto?
Monti e la cura dimagrante imposta all’Italia è una cura che funziona, o che uccide il paziente? Sabato il premier – parso ultimamente molto suscettibile alle critiche, nonostante le protezioni di importanti testate allineate sulla responsabilità fino a sembrare quasi acritiche – ha fatto capire che i mercati temono il ritorno dei politici e il pericolo di annacquare e vanificare le riforme promesse. Per cui l’Italia, i cui fondamentali restano solidi, non c’entra niente. Oggi, ha dato la colpa dello spread ai tentennamenti sullo scudo e quindi a cause indipendenti da noi e non imputabili al nostro debito, salito al 123% in rapporto al Pil.
Ma se in questo nuovo mondo, sempre più in mano alla “casta sacerdotale” degli economisti, è ancora possibile chiederselo, siamo proprio sicuri che anche noi non destiamo perplessità? Non è che anche i mercati – come ci chiediamo un po’ tutti – si domandano: ma se il vostro problema è la crescita, con queste manovre come farete a crescere? Siamo su un altalena impazzita e quello che speravamo tutti non accenna ad avverarsi. Il pericolo resta. Il timore è di svegliarsi un giorno e apprendere, come accaduto per la Spagna, che non ci sono soldi in cassa e le banche vanno ricapitalizzate. Perchè a livello regionale gli stipendi rischiano di non essere pagati, la macchina pubblica può incepparsi e portare al default dello Stato centrale. Il che significa consegnarsi legati mani e piedi al commissariamento da parte della famigerata “troika” Ue, Bce e Fmi.
Sembra di essere di nuovo all’inizio dell’incubo. Come se da Berlusconi a Monti non fosse cambiato nulla. Ma questo, che tuttavia non è il problema, sembra appassionare moltissimo il dibattito politico su gran parte della stampa italiana, mentre il Paese – impensierito dal lavoro che non c’è, dalle tasse record e dai propri risparmi – pensa a tutt’altro.
Il punto è che dopo le riforme cariche di dubbi, i molti sacrifici già in atto e i molti previsti in futuro, lo spread resta lì. Anzi sale di nuovo verso il punto di non ritorno. La stampa berlusconiana si chiede a cosa sia servito l’ingresso sulla scena di Monti e quasi esulta nel dimostrare come gli unici cambiamenti siano dei peggioramenti.
La riabilitazione di Berlusconi sullo spread alto di Monti, non tiene conto del fatto che anche l’ex premier sarebbe stato obbligato a tassare e tagliare. Ne sarebbe stato capace? E in che misura? E se la totale assenza di riforme, per la verità, è un male antico del Paese non è ascrivibile solo al Cavaliere, questa interpretazione dimentica almeno qualche passaggio. Ad esempio, come il governo Berlusconi sia stato l’esecutivo degli annunci senza seguito. Quello dove aprivi la tv e tra sorrisi e strette di mano sembrava tutto fatto, tranne scoprire poi che non era vero niente.
Si dimentica la conduzione economica fallimentare. Il ministero dello Sviluppo Economico – quello di Passera per intenderci -rimasto a lungo vacante dopo le dimissioni di Scajola per la casa pagata “a sua insaputa”. Poi assunto ad interim da Berlusconi e transitato nelle mani di Romani sull’onda delle proteste di quanti attendevano una politica di indirizzo rivelatasi totalmente assente.
Come non ricordare poi le liti furibonde Berlusconi vs Tremonti. Tracimate da dietro le quinte fino allo scontro pubblico in conferenza stampa. Situazioni imbarazzanti, con la suprema guida economica che aveva contro tutto il consiglio dei Ministri compreso il presidente. Sempre a lamentarsi di lui, reo di non allentare i cordoni della borsa. Per tutta risposta, il titolare dell’Economia andava in Europa e si sfogava con i colleghi stranieri. Da ciò il sospetto che nella lettera giunta all’esecutivo dall’Europa ci fosse anche il suo zampino.
Se a questa breve carrellata, aggiungiamo la lentezza nel “fare i compiti a casa” e la sensazione di totale impreparazione e pressappochismo trasmessa. Le prese in giro e le figuracce accumulate in mezzo mondo dal premier, ma, soprattutto, lo spread salito in pochi mesi da meno di 200 a 574 punti base, si capisce perché ostinarsi a chiedere, con tono polemico, come mai Berlusconi sia stato costretto alle dimissioni, diventi uno sforzo intellettuale del tutto inutile. Tanto più che non è stata l’opposizione a rimpiazzarlo, ma un esimio professore bocconiano, uomo della finanza e delle banche, l’ex commissario europeo Mario Monti.
Pensare al passato, con una sorta di nostalgia, per la serie “si stava meglio quando si stava peggio”, non ha alcun senso. Ma vedere come sia cambiato lo spread , queste sei lettere che quasi nessuno sapeva cosa significassero, forse si. Anche per mostrare come ciò che sta cambiando la nostre sicurezze e il modo di percepire il mondo, si lega ad un periodo breve, racchiuso in pochi mesi. A novembre 2010, lo spread tra Btp e Bund era a quota 160, quasi un anno dopo, il 9 novembre 2011, era a 574 punti base con rendimento al 7,47%, al limite della sostenibilità. Cresciuto di 414 punti in meno di un anno.
Quando, l’undici novembre 2011, Berlusconi annuncia le dimissioni, lo spread cala a 456, ma torna quasi subito a quota 500 e oltre. Poi inizia la discesa. Che- qui ha ragione Berlusconi – non deriva da poteri taumaturgici del nuovo premier, ma dal fatto che entrano in campo le banche centrali. La Bce presta 1000 miliardi all’1% alle banche italiane che acquistano titoli. Il differenziale inizia a scendere. E così, a inizio dicembre, appena viene varata la manovra, lo spread cala a 370. Ma dopo l’approvazione alla Camera delle misure risale abbondantemente sopra a 400 e prima di Natale, nonostante l’approvazione definitiva della Manovra, tocca i 515 punti. Quota su cui resta stabile – anche per il taglio del nostro rating ad opera di Standard & Poor’s – fino a fine gennaio. Da quel momento, lo spread riprende la discesa. A portarlo in basso, a marzo, è l’ottimismo per la ristrutturazione del debito greco. E’ il momento migliore, lo spread va sotto quota 300. A fine mese, però, ricomincia a salire, si inizia a temere per la Spagna, mentre in Grecia, dove non si riesce a formare il governo, si terranno nuove elezioni.
A metà giugno, attacco speculativo contro il nostro Paese, e spread a 490 punti. Ma, a fine mese, scende a 420 dopo che Monti si impone in Europa sullo scudo anti spread. Risalendo però quasi subito a luglio, sotto il tracollo dell’economia legata a beni e servizi e non alla finanza. Arriva a 475 punti dopo lo scontro tra il premier e il presidente della Confindustria e sale ancora col nuovo taglio di Moody’s. Fino allo scorso venerdì “nero”: lo spread supera i 500 punti e la borsa perde il 5,8%. A cui segue il lunedì da brivido.
Lo spread continuerà a farci soffrire e a muovere la politica che lo teme più di quanto non riesca a capirlo. Come dimostrato dalle Iene, che andando a chiedere ai nostri politici, “cos’è lo spread?”, si sono imbattuti risposte come quella di un parlamentare Udc: “la differenza tra quello che si produce e quello che uno realmente spende”. La risata é d’obbligo. E speriamo che non si alzi il differenziale.
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Anche da Lei traspare non il senso critico e analitico, ma una sensazione di insofferenza verso Berlusconi come se lui fosse il male o ne fosse il rappresentante per elezione popolare.
Il male dell’Italia egregio Direttore non arriva da lui, ma dai dissennati anni del maledetto accordo trasversale PCI/DC per il quale in circa 25 anni ha letteralmente distrutto lo Stato sociale. Ospedali ecure gratuite a tutti, baby pensioni, riconoscimento di anni di servizio per il sistema pensionistico, enorme potere consegnato ai sindacati di sinistra (unici in europa) e poi tutte le conseguenze che ne sono derivate non ultimo le Regioni che dovevano sostituire le Provincie e che poi sono rimaste le une e le altre. Ciò ha determinato un sistema ingarbugliato di creazione di Enti e nomine di responsabili e di Consigli di amministrazione. Poi dovremmo disquisire sugli stipendi delle cariche pubbliche, questi mega direttori pubblici con stipendi milionari o quasi.
E’ questa la vergogna che ci trasciniamo dietro e per cambiare rotta servirebbe una piccola rivoluzione popolare, fattibile in altri Stati, non in Italia, troppe Nazioni vivono in essa, troppe mentalità diverse che solo le emozioni tengono unita. Una volta il calcio, un’altra la religione e via così.
Sono critico con lei, ma lo sono in particolare con gli italiani che non vogliono ammettere che per migliorare bisogna rinunciare e lavorare tutti assieme. I più ricchi devono essere loro i primi a mettersi in Lista per sanare l’Italia, considerato che a loro l’Italia ha riservato nel passato un occhio di riguardissimo. Da loro deve partire l’idea del risanamento del debito, non dall’operaio o dal pensionato o dall’impiegato i cui stipendi e pensioni sono ormai così svalutati da non riuscire a far fronte alle proprie necessità. Signor Direttore 10 milioni di indigenti, sono circa il 17% della popolazione, diranno qualcosa, ci faranno pensare a come uscire e a quali sacrifici ognuno dovrà fare in rapporto alla ricchezza disponibile.
Ma finiamola con giocare il tutto su Berlusconi come al tempo di Maradona per i malanni di Napoli. Dai comportiamoci seriamente, che è tardi ormai.
Renzo
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