L'ecomafia avanza, Italia in balia di rifiuti e cemento
Vale 16,6 miliardi di euro il business delle ecomafie. Il rapporto di Legambiente fotografa un’Italia spartita tra quasi 300 clan criminali, che da Nord a Sud gestiscono rifiuti illegali, incendi dolosi, traffico di bestiame e cementificazione abusiva. Reati ancor oggi puniti solo da sanzioni amministrative. E pensare che dalla Puglia si snoda il più grande traffico internazionale di rifiuti plastici illegali del mediterraneo.
La Mafia “Verde” avanza. Rispetto al rapporto 2011 di Legambiente sulle attività mafiose legate al territorio, i reati riscontrati sono cresciuti del 10%, raggiungendo la cifra di 34 mila: oltre 93 delitti ambientali al giorno. Una piaga che si espande in quantità – i clan implicati sono oggi 296 – e in profondità – con 18 Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa. Tra arresti e denunce, sono 30mila le persone implicate.
I rifiuti restano un business fondamentale per le nuove mafie. Oltre 4 miliardi l’anno derivano proprio dal traffico di materiali speciali, non solo industriali ma anche di produzione domestica. In termini di quantità, stiamo oltre le 340mila tonnellate l’anno: se li mettessimo su Tir, formerebbero una fila lunga 188 chilometri. Ed è proprio la Puglia uno dei centri del traffico di rifiuti. Da Taranto e Lecce si snoda infatti un flusso internazionale di materiali plastici, che vengono mandati via nave in Asia illegalmente, per poi rientrare parzialmente trattati o soltanto “camuffati” per la stessa via. Un affare da 6 miliardi di euro che coinvolgeva 21 aziende salentine, scoperto dall’operazione Gold Plastic delle Fiamme Gialle a dicembre 2011.
L’edilizia abusiva non conosce tregua: 25800 nuove costruzioni hanno invaso aree protette, litorali, zone a rischio idrogeologiche. Maglia nera proprio alla Puglia, dove il litorale barese e salentino è assalito dal cemento abusivo.
La cosa peggiore è che la lotta alle ecomafie sta diventando più difficile. Ancora manca nel codice penale un reato di delitto ambientale, che viene ancor oggi sanzionato con pene amministrative e multe. E se il procuratore Antimafia Pietro Grasso ne chiede a gran voce l’introduzione, dal Ministero fanno sapere che “le leggi esistenti sono sufficienti, se fatte rispettare”. E rema contro anche la decisione di vendere a privati i beni confiscati alla mafia: quello che finora si è rivelato il miglior strumento di contrasto all’ecomafia – il riuso di terre mafiose ha dato risultati più efficaci dell’arresto dei boss – rischia la scomparsa, se si consente ai clan di ricomprare il sequestrato.
La lotta all’ecomafia resta una battaglia di legalità contro la corruzione. Ma se la legalità decide spontaneamente di cedere le armi, la battaglia è persa.
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In questo panorama desolante così efficacemente descritto, quel che fa soffrire di più è la mancanza di volontà politica ad intervenire da parte del nostro Governo.
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