Riforma del lavoro, ecco cosa cambia
Troppa demagogia. Forse da tutte e due le parti. Forse anche per colpa dei giornali. Con questa riforma del lavoro cambiano molte cose, ma l’articolo 18 resta lì. Il punto troppo spesso centrale di dibattiti televisivi tra politici e parti sociali è stato solamente sfiorato da questa riforma. Tanti invece i cambiamenti per rendere più flessibile l’ingresso nel mondo del lavoro.
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Articolo 18 “ristrutturato”. L’articolo 18, che come prima si applica solo ad aziende con più di 15 dipendenti (circa il 20% dei lavoratori dipendenti in Italia) è stato lievemente ammorbidito. Abolito il reintegro automatico in caso di licenziamento economico (cioè quando l’azienda è in difficoltà). Il reintegro viene sostituito con una consistente indennità. Per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, sarà il giudice a valutare se c’è o meno giusta causa e se ci sono gli estremi per un reintegro in base al contratto collettivo. Nullo il licenziamento discriminatorio e quindi il giudice – come già in vigore fino ad ora – disporrà l’immediato reintegro.
Contro le false partite Iva. Stop alle false partite iva che nascondo sfruttamento e lavoro precario. Sono “vere” quelle partite iva che producono all’intestatario un reddito annuo lordo dai 18 mila euro in su. La durata della collaborazione non deve superare gli otto mesi e il lavoratore non deve avere una postazione fissa in azienda (es: una scrivania).
Salario base per i co.co.pro. Per i contratti a progetto, il governo ha inserito un salario minimo, calcolato sulla media delle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi. Aumenta l’aliquota contributiva (un lavoratore a progetto “costerà” quanto uno dipendente) fino al 33% nel 2018. Rafforzata anche la una tantum per i disoccupati parasubordinati. Anche se in via sperimentale (vale solo per i prossimi tre anni), chi avrà lavorato almeno sei mesi nell’anno, potrà usufruire di un indennizzo di disoccupazione di circa 6mila euro.
L’apprendista. L’apprendistato diventa il principale canale per l’accesso al mondo del lavoro. I contratti dovranno durare almeno sei mesi, ma non c’è obbligo di assunzione. Solo le aziende con più di 10 dipendenti dovranno assumere almeno il 50% degli apprendisti.
Contratti a termine. Le assunzioni a tempo determinato dovranno durare almeno 12 mesi, quando si tratta di “primo contratto”. Ma le aziende non avranno più l’obbligo di indicare le “cause” che la costringono ad assumere “a tempo” quel determinato lavoratore. Si allargano i periodi di pausa tra un contratto e l’altro in modo da disincentivare l’uso di questa forma contrattuale per periodi lunghi. Infatti, per un contratto di sei mesi, la pausa passa da 10 a 20 giorni. Per contratti più lunghi lo stop arriva fino ad un mese.
Ammortizzatori sociali. Si chiamerà Aspi e sostituirà l’indennità di disoccupazione. Il disoccupato che dovesse rifiutare un lavoro che abbia una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all’indennità, perderà il sussidio. Si aggiunge il congedo di paternità. Alla nascita del figlio, per il padre ci sarà un giorno di congedo obbligatorio. Il padre-lavoratore ne può chiedere altri due che però saranno scalati da quelli previsti per la madre. In arrivo un buono baby sitter per aiutare le donne lavoratrici nei primi mesi dopo il parto.
Twitter: @PaoloRibichini
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e questa sarebbe la buona riforma???….18 ooo € lordi in partita iva non sono neanche 10 ooo netti all’anno….e poi lo stop di un mese per i contratti a tempo determinato…..ma dai siamo al ridicolo….cioè si stoppa per un mese ma me ne possono fare anche 10 per 10 anni e 10 mesi (10 mesi so quelli di stop)…In pratica il modo giusto per non pagare le ferie…e poi un giorno alla nascita…..mah…..
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