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Diritto di critica | December 23, 2024

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Algerino dal carcere al Cie, i paradossi della "Bossi-Fini"

Algerino dal carcere al Cie, i paradossi della “Bossi-Fini”

Pensava di tornare a vivere il mondo, dopo aver scontato quattro anni e sette mesi di detenzione nella Casa di reclusione di Spoleto. Invece, un algerino di 31 anni condannato per droga, uscito dal penitenziario è stato accompagnato a un Cie dagli agenti dell’ufficio immigrazione della Questura di Perugia. A causa della sua identificazione ed espulsione, l’uomo dovrà passare ancora lunghi giorni o mesi dentro una cella senza aver commesso alcun crimine.

Era stato arrestato in flagranza di reato nel 2007 a Sassuolo. Da allora ha girato vari carceri italiani prima di arrivare a Spoleto. La Casa di reclusione della città umbra è stata ideata e realizzata per detenuti a regime di alta e altissima sicurezza. Ma ora, a causa dell’aumento della popolazione carceraria in tutto il territorio nazionale, molti reclusi comuni sono stati trasferiti in quell’istituto.

Non sono bastati i lunghissimi anni di detenzione per mettere le “carte in regola” all’algerino. Forse, ci voleva troppo tempo e spreco di energie per consultare il paese di provenienza del 31enne e risolvere la questione direttamente dal penitenziario di Spoleto. Così, ieri pomeriggio, appena uscito dal carcere, gli è stato notificato un decreto di espulsione. L’algerino, residente in provincia di Modena dal 2003, è finito in un Cie per un’insensata legge. Il caso del 31enne non è stato il primo e non sarà l’ultimo, fino a che non si sbroglia il gomitolo di lana attorcigliato in malo modo e confuso. Ci sono migranti che continuano ad entrare e uscire dal Cie con estrema tranquillità, come se tutto fosse normale.

Associazioni, politici, movimenti e giornalisti si mobilitano costantemente per la chiusura di questi luoghi di detenzione. I Cie hanno già dimostrato di essere inefficaci e controproducenti, ma purtroppo, sono ancora duri a morire. Per colpa di una legge, la cosiddetta  “Bossi-Fini”, si cerca di risolvere il problema dell’immigrazione irregolare rinchiudendo senza alcun motivo esseri umani in quelle gabbie. Una questione mai risolta. Un’accozzaglia di leggi e decreti che mescolano migranti, rifugiati, apolidi e richiedenti asilo. Senza distinguere meticolosamente le esigenze di chi arriva nel territorio nazionale. Questa situazione, è una miscela che crea malumore e sofferenza agli autoctoni e agli stessi migranti.

I Cie sono sempre più infuocati. Ogni giorno proteste e rivolte divampano all’interno di questi centri. L’ultima ribellione è avvenuta domenica notte al Centro di identificazione ed espulsione di Torino di Corso Brunelleschi. Intorno alle 3 alcuni “ospiti”, così vengono chiamati, hanno dato fuoco, a scopo dimostrativo, ad alcuni materassi e sono saliti sul tetto.

A volte un filo sottile distingue un rifugiato da un migrante, considerato “volontario”. Non è facile distinguere un rifugiato da un’altra qualsiasi persona che arriva per motivi economici, anche perché quella persona molto probabilmente durante il viaggio potrebbe aver subito violenze fisiche e/o psicologiche. Non siamo più ai tempi dei due blocchi, quando il rifugiato arrivava sulla frontiera con la valigetta in mano chiedendo asilo politico. Il mondo è cambiato. Oggi, non ci vuole poi molto a finire in clandestinità sia per il richiedente silo che per il migrante economico. La commissione che sceglie chi può avere lo status di rifugiato e chi no, spesso non trova il richiedente asilo con i documenti in mano.

L’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, spiega che nel 2011 si è registrato il record delle persone costrette a fuggire dal proprio paese. Il rapporto annuale, “2011 Global Trends”, dichiara che sono 800 mila quelli che hanno attraversato i confini nazionali diventando rifugiati, la cifra più alta dal 2000. Se consideriamo quelli che non lo sono diventati la cifra si alza notevolmente. Alla fine del 2011 in tutto il mondo vi erano 42,5 milioni di persone tra rifugiati (15,4 milioni), sfollati interni (26,4 milioni) o persone in attesa di una risposta in merito alla loro domanda d’asilo (895.000).