In Siria salta la tregua. E l'Onu rischia l'ennesimo fallimento - Diritto di critica
di Giovanni Giacalone
Il piano di pace dell’Onu per la Siria non comincia nel migliore dei modi, nonostante Kofi Annan avesse inizialmente dichiarato, durante il suo viaggio a Teheran, di aver ricevuto segnali positivi da parte del regime di Assad.
Il piano prevedeva che nel giorno 10 aprile l’esercito siriano si sarebbe dovuto ritirare dalle città e dai villaggi; nelle successive 48 ore il cessate il fuoco sarebbe dovuto entrare in vigore in tutto il territorio nazionale e, entro le 6 di mattina del 12 aprile, tutti gli scontri sarebbero dovuti cessare.
In effetti sinistri segnali di un potenziale fallimento erano evidenti già nella giornata di martedì 10 aprile, in quanto le truppe governative erano ancora presenti nelle città e nei villaggi, dove si contavano un centinaio di morti. Contemporaneamente altri scontri erano in corso a ridosso del confine con la Turchia, nei pressi del campo profughi di Kilis.
Nella giornata di mercoledi Homs è rimasta per diverse ore sotto l’attacco dell’esercito che, secondo il piano, avrebbe invece dovuto lasciare la città nella prima mattinata. A Deera si sarebbero ammassati mezzi blindati e le truppe avrebbero iniziato perquisizioni ed arresti casa per casa e sono anche stati segnalati incendi dolosi alle abitazioni civili da parte dei militari di Assad. Omar al-Harriri ha dichiarato alla Reuters: “l’esercito sta sfruttando il cessate il fuoco per compiere il maggior numero di arresti e le forze di sicurezza stanno incendiando le abitazioni”.
Colpi sparati dalle truppe siriane avrebbero inoltre bersagliato il territorio turco anche nella mattinata di mercoledì, nel tentativo di colpire profughi in fuga. Dopo un apparente miglioramento nella giornata di giovedì, la situazione è degenerata nuovamente. Venerdì migliaia di persone si sono riversate nelle strade per manifestare contro il regime e vi sarebbero stati cinque morti tra i civili. Le proteste sono poi proseguite un po’ in tutto il paese anche nella giornata di sabato.
L’esercito siriano ha conseguentemente ripreso con i bombardamenti, bersagliando le zone residenziali ad Homs e attacchi delle truppe governative sono stati segnalati anche in altre zone del paese, incluso il villaggio di Kherbet al-Jouz e lungo il confine con la Turchia. Il bilancio della giornata di domenica, secondo i rivoltosi, è di 32 morti.
Le forze di sicurezza siriane hanno accusato i rivoltosi di aver intensificato gli attacchi durante il cessate il fuoco, ma la curiosa coincidenza tra la ripresa delle manifestazioni di strada e l’immediata risposta dell’esercito mette in evidenza quali siano le reali intenzioni del regime, al di là delle belle parole a cui non crede più nessuno, ovvero continuare ad uccidere e terrorizzare la popolazione nel tentativo di soffocare le proteste che rischiano di portare al collasso la dittatura della famiglia Assad.
Nonostante l’arrivo dei primi sei osservatori, che sono sul campo già da ieri mattina sotto la guida del colonnello marocchino Ahmad Himmish, c’è chi intravede in Siria l’ennesimo fallimento dell’Onu, come già visto in Bosnia, Somalia ed altri paesi.