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Diritto di critica | November 15, 2024

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Piazza Fontana, quella ferita ancora aperta - Diritto di critica

Piazza Fontana, quella ferita ancora aperta

di Francesca Pintor

Per l’Italia intera, per tutti, la strage di Piazza Fontana rappresenta una ferita aperta che lacera le coscienze e solleva, a distanza di 43 anni, pesanti dubbi, accuse e sospetti. A quel tragico attentato seguì uno dei periodi più dolorosi della nostra storia: dalla morte dell’anarchico Pinelli, all’omicidio del commissario Calabresi, fino alle cospirazioni di apparati deviati dello Stato e alle feroci campagne di stampa. Storie di uomini, donne, bambini, travolti dalla violenza di quegli anni, che il regista Marco Tullio Giordana ha portato sul grande schermo con il film “Romanzo di una Strage”, liberamente ispirato al libro “Il segreto di Piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli. Un film impegnativo, didascalico, con cui il regista de “I Cento passi” e “La meglio Gioventù” torna a dedicarsi al cinema di impegno civile, inaugurato in Italia da Elio Petri e Francesco Rosi.

Il romanzo di una strage. Alle 16:37 del 12 dicembre 1969 una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, scuotendo la città dalla sua frenetica quotidianità, e l’Italia con essa. Diciassette persone muoiono, altre 88 restano ferite. Molte di queste resteranno invalide a vita. Le indagini si orientano subito verso alcuni circoli anarchici milanesi e, in un primo momento, Pietro Valpreda viene identificato come l’esecutore materiale della strage. Durante un lungo interrogatorio, il ferroviere Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) precipita dal quarto piano della questura di Milano. Tre anni dopo il commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea), ritenuto il responsabile della morte di Pinelli, viene assassinato davanti alla sua abitazione.

Con uno stile giornalistico, quasi asettico, il regista racconta in poco più di due ore quegli anni densi di avvenimenti, mettendo in evidenza la pretestuosità della pista anarchica, i depistaggi e le omissioni nelle indagini. Con unico filo conduttore: il piano eversivo, di matrice neofascista, che avrebbe dovuto portare ad una svolta autoritaria in Italia con la connivenza e la copertura di settori deviati dello Stato e dei servizi segreti statunitensi. In questo sfondo i personaggi del film si muovono come pedine verso un destino deciso da altri, nelle stanze di un potere occulto che trama per sovvertire l’ordine costituito. Sono tre le vittime sacrificali di questa cospirazione: Giuseppe Pinelli, travolto dagli eventi, Luigi Calabresi, abbandonato dai suoi stessi superiori, e un rassegnato Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) all’epoca ministro degli Esteri, costretto a rinunciare alla verità in nome della ragion di Stato. Tre uomini molto diversi, ciascuno con un proprio ruolo nella storia, ma uniti dalla stessa tragica fine.

Nel film non c’è spazio per mettere a fuoco fino in fondo il clima di contestazioni sociali, proteste e rivendicazioni reazionarie del periodo. Né per approfondire le emozioni dei personaggi. “Romanzo di una strage” si limita a mostrare allo spettatore la sequenza dei fatti nella sua drammaticità.

“La violenza, parte integrante di quegli anni ma non unica chiave di lettura – spiega il regista in una lettera al Corriere della Sera – io ho voluto intenzionalmente raffreddarla. La si conosce bene, inutile indulgervi. Romanzo di una strage – aggiunge – è un film rivolto soprattutto ai più giovani, a chi non sa nulla di quegli anni e ha il diritto di sapere”.

Le reazioni. Con il suo carico di dolore, e una vicenda giudiziaria conclusa con l’assoluzione di tutti gli imputati (tra cui i neofascisti Giovanni Ventura e Franco Freda), il film ha riaperto le polemiche sul caso. La teoria, avanzata nel libro di Cucchiarelli e sposata dal regista, della presenza di una seconda bomba all’interno della banca è stata nettamente esclusa da Gerardo D’Ambrosio, che indagò sulla pista nera. Mentre Adriano Sofri (condannato per l’omicidio Calabresi) ha definito la ricostruzione del libro “insensata e assurda”.

Ma l’opera di Giordana ha lasciato perplesso anche Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato. “Ti lascia la sensazione che non sappiamo niente, che non abbiamo né verità, né giustizia – ha dichiarato il giornalista al Corriere della Sera – Invece la verità storica c’è, eccome. Noi oggi sappiamo quanto affermano le sentenze, che, se non hanno più potuto condannare, nelle loro motivazioni hanno chiarito le responsabilità”.

Comments

  1. Pereira50

    Come sto? Sto a modo mio, ma non parlo. Magari tornate fra qualche giorno, ma solo per offrirvi un caffè, mi spiace”.

    Così aveva risposto all’uscita dal carcere: quindi, il film ha avuto il merito di aver fatto riparlare Sofri !!!! Buon Segno !!
    Condannando tre persone a una pena di vent’anni senza alcuna rova obbiettiva, ma unicamente in base alle dichiarazioni (e sappiamo quanto incerte e contraddittorie ) di un cosiddetto ” pentito “, l’Italia ha dimostrato di applicare in maniera allarmante una forma di Diritto che non trova riscontro in nessun Paese della Comunità Europea di cui fa parte. Del resto la vostra stampa (francese), con la simpatia che spesso ci riserva , abbia “turisticamente ” indicato il miglior Paese per raggiungere la Turchia , la dice lunga sulla prestigiora immagine che il mio Paese si è conquistato all’estero.Un saluto amichevole Antonio” La gastrite di Platone ) Antonio Tabucchi – Sellerio Editore Palermo – 1998 – pag. 56

  2. Pereira50

    Tutti ritengono che Calabresi sia stato ammazzato per la campagna di odio e per il linciaggio di cui è stato vittima. Ma c’è anche un’altra verità:che sia stato ammazzato per altro, quello che io imputo anche a Sofri è di non cercare e dire abbastanza.Finalmente l’uscita del Film il romanzo di una strage lo ha costretto a rompere la consegna del silenzio che si era imposto all’uscita dal carcere. C’è un aspetto di cui non si parla abbastanza: MILANO – Tra il dicembre del 1970 e il settembre del 1972 – e cioè prima e dopo l’omicidio del commissario Luigi Calabresi – il servizio segreto militare dell’epoca, il Sid, disponeva di un affidabilissimo spione nel vertice milanese di Lotta Continua. “Como”, questo era il suo nome in codice, partecipava a riunioni su argomenti molto delicati, conosceva leader come Giorgio Pietrostefani e Mauro Rostagno e tutti i dirigenti delle lotte operaie alla Pirelli-Bicocca dove, con tutta probabilità, lavorava. Un informatore preciso, un osservatore attento, capace di cogliere e segnalare tempestivamente l’intera attività della sinistra extraparlamentare: dai primi vagiti delle Brigate rosse alle azioni dei Comitati unitari di base. Un solo tema, curiosamente, è ignorato nelle ventisette informative che il Sismi ha inviato alla magistratura milanese, proprio quello più importante: l’omicidio Calabresi.
    Come è stato possibile che pur essendoci un infiltrato in Lotta Continua – Luigi Calabresi sia stato ucciso ?Perchè questa domanda non se la pongono in tanti, a partire dal Direttore della Stampa ?