Sì della Fifa alle donne con l’hijab, rivoluzione nel mondo del calcio - Diritto di critica
Era il 7 giugno del 2011 quando la Fifa proibì alle atlete della nazionale iraniana di giocare con un hijab, il velo riveduto e adattato alle sportive, contro la Giordania nella partita valida per le qualificazioni ai Giochi Olimpici di Londra del 2012. L’istantanea fece il giro del mondo e la sconfitta a tavolino per 0-3 costò all’Iran la partecipazione alle prossime Olimpiadi. Non bastò, per i massimi organi sportivi, abbandonare il classico velo e sostituirlo con una tenuta moderna, capace di coprire il corpo fino al collo e nascondere i capelli con un copricapo alla moda.
Ora però, le cose potrebbero cambiare: la Fifa sembra orientata a ridiscutere le famose ‘ragioni di sicurezza’ alla base del divieto di indossare il copricapo. Il divieto è in vigore dal 2007 e la decisione definitiva sarà presa entro luglio. Le attuali regole della Federazione internazionale, non solo impongono ai calciatori di giocare a capo scoperto, ma vietano anche di indossare qualsiasi indumento o simbolo che rimandi a slogan politici o a precetti religiosi.
La parola ‘hijab’, che nel Corano significa letteralmente “sottrarre alla vista, nascondere”, ha assunto negli anni il significato di ‘velo’ per la donna musulmana, anche se nel testo sacro ci sono altri due termini (khimār e jilbāb) che lo definiscono in modo più appropriato, specificando come esso debba coprire il capo del credente e anche il volto. Lo scorso 4 marzo una commissione della Fifa, anche grazie all’appello presentato dall’Onu, ha deciso che le ragazze velate potrebbero essere autorizzate a giocare se indosseranno degli hijab in velcro aderenti e fatti apposta per lo sport (per 4 mesi saranno sottoposti ai test per la messa a punto). Altri sport come il taekwondo e il rugby consentono già da tempo l’utilizzo dell’hijab. La stilista olandese Cindy Van den Bremen, che ha creato uno dei modelli di hijab sportivi in esame, ha sostenuto di non vedere la differenza tra la possibilità di afferrare un’atleta per la coda di cavallo o per l’hijab, in termini di pericolo sul campo di gioco.
Le associazioni femministe plaudono alla decisione della Fifa, contro quello che era un “segnale dell’Islamofobia crescente nel mondo, capace di colpire le donne musulmane”. La rivista ‘Foreign Policy’ sostiene come nel “gioco del calcio le atlete musulmane siano rimaste intrappolate nei crescenti sentimenti anti-musulmani e nelle più ampie guerre culturali combattute principalmente in Nord America e in Europa”. Voci fuori dal coro quelle del movimento ‘Ni Poutes ni Soumises’ (né puttane né sottomesse), che hanno criticato la Fifa definendo il provvedimento una “totale regressione, in quanto il velo è un simbolo di dominazione maschile”.
Numerosi paesi islamici, non solo dove l’hijab è obbligatorio come l’Iran o l’Arabia Saudita, non hanno nemmeno delle squadre femminili per tutti gli sport e ostacolano sistematicamente i tentativi delle donne di praticare sport. Il divieto della Fifa andava proprio in tal senso. Il principe giordano Ali Bin al-Hussein, vice-presidente della Fifa, nel febbraio scorso aveva denunciato il graduale allontanamento delle donne dal mondo del calcio, a causa del divieto imposto dalla Federazione internazionale.