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Diritto di critica | November 22, 2024

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Delitto di via Poma, ecco la perizia che scagiona Busco - Diritto di critica

Delitto di via Poma, ecco la perizia che scagiona Busco

Un terremoto che potrebbe rimettere in discussione la sentenza di primo grado di uno dei più importanti processi mediatici degli ultimi 20 anni. Raniero Busco, condannato a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, potrebbe essere scagionato in appello. Sono circa 260 le pagine della perizia che rimettono in discussione tutto: chi è l’assassino o, a questo punto, bisognerebbe dire chi sono gli assassini e gli eventuali complici. Perché dai 12 campioni di tracce biologiche, prelevati dal corpetto e dal reggiseno di Simonetta, emerge un particolare inquietante: è stata individuata, nel “settimo campione prelevato dalla parte sinistra del corpetto”, la presenza di tre soggetti di sesso maschile.

I 3 dna maschili Quanto ai due campioni estratti dal reggiseno, sono entrambi attribuibili a Raniero Busco, ma comparando la traccia dei tre soggetti anonimi con il profilo genetico dell’imputato, gli esperti ha rilevato come “la mancanza di alcune caratteristiche proprie del profilo genetico di Busco, potrebbe essere ricondotta ad artefatti di amplificazione o alla loro reale assenza dal profilo”. Il dna dell’ex fidanzato della Cesaroni, ritrovato sul corpetto e il reggiseno, insieme al presunto morso sul capezzolo sinistro, rappresentava una delle prove schiaccianti dell’accusa. Colpisce come a distanza di più di 20 anni, nuove rilevazioni su 12 campioni abbiano rivelato la presenza di altri profili maschili, quando quella del 1996, disposta dal gip e redatta nel 1999 da Giampietro Lago e Luciano Garofano (ex comandante del Ris di Parma), non aveva chiarito la natura di tracce di sangue sulla maniglia interna e sul lato interno di una porta nella stanza del delitto. I rilievi della polizia scientifica avevano già rivelato il gruppo sanguigno di un’altra persona: un uomo dal profilo genetico diverso da Busco, qualcuno che forse lavorava nell’ufficio o che poteva avervi accesso perché possedeva le chiavi. Il corpetto e il reggiseno di Simonetta fornirono un risultato utile: un dna di sesso maschile, sottoforma di tracce di saliva. La Scientifica prelevò per sicurezza due volte il materiale genetico dell’imputato e l’ha analizzato e confrontato: il dna di Busco è emerso per sei volte su entrambi gli indumenti. E gli altri campioni? Perché non sono stati analizzati?

Il morso Per ciò che riguarda l’altra ‘prova principe’, il presunto morso sul capezzolo sinistro di Simonetta, i periti affermano che “le due minime lesioni escoriative non sono in grado di configurare alcun morso e restano di natura incerta”. Nel campo delle ipotesi, la perizia attribuisce la lesione a “un’unghiatura parziale per strizzamento tra due dita del capezzolo oppure all’azione di un altro mezzo escoriativo, siano i denti o una superficie appuntita”. A parere dei consulenti quella del morso era stata un’ipotesi formulata dai periti tecnici della Procura di Roma, “consulenze tecniche odontoiatriche forensi indubbiamente affascinanti che spingevano per una compatibilità con la particolare dentatura dell’imputato”. Sulla ricostruzione della Procura, i periti ne evidenziano il carattere ‘inverosimile’ poiché “le due piccole escoriazioni sono state studiate partendo da una vecchia fotografia, neppure esattamente prospettica, con metodi di correzione informatici, che non offrono certezze”.

La difesa e l’accusa Era la stessa posizione della difesa, che sottolineava come fosse impossibile sovrapporre l’immagine di una fotografia di Busco a quella tridimensionale di un morso. L’avvocato dell’imputato Paolo Loria, pur riconoscendo che la perizia rappresenta un punto a favore della difesa, mantiene un profilo basso: “Non siamo ancora vicini all’assoluzione perché il processo è ancora tutto da discutere. Busco sa che il cammino da compiere verso un ribaltamento della sentenza di primo grado è ancora lungo”. Il legale della famiglia Cesaroni Massimo Lauro, invece, afferma come l’impianto accusatorio sia rimasto inalterato e che non sia stato scalfito nulla.