Parlamento 2.0, "per i politici il web è un oggetto misterioso" - Diritto di critica
Stati Uniti d’America, campagna elettorale del 1992: i candidati alla Casa Bianca, Clinton e Gore, utilizzano l’email come strumento di diffusione delle informazioni tra i media tradizionali. Italia, 1992: Internet è sconosciuto ai più, utilizzato solo in ambito scientifico da pochi addetti al settore. Vent’anni dopo con Obama l’America vive una delle più rivoluzionarie compagne elettorali nell’uso della rete. In Italia è ancora fantascienza.
Nonostante l’ormai completa acquisizione di massa del mezzo, la classe politica nostrana guarda al web con diffidenza. A dirlo è Sara Bentivegna, docente di Comunicazione Politica presso il Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Roma “Sapienza” e coordinatrice di una ricerca che ha avuto come oggetto d’indagine proprio l’uso che i parlamentari italiani fanno della rete. “C’è da un lato un sospetto, una paura. Molto spesso i politici hanno timore non tanto della tecnologia in sé quanto del rapporto diretto, ravvicinato che essa crea con i cittadini; anche perché in rete, in alcuni ambiti soprattutto, non esistono reti di protezione”, spiega la Bantivegna. “Allo stesso tempo c’è una questione di arretratezza, di distanza, di diffidenza nei confronti di una tecnologia con la quale non si è abituati ad interagire, e quindi di cui non si conoscono bene le regole, la netiquette, come usarla e che tipo di comunicazione creare”.
I risultati della ricerca, raccolti in un volume dal titolo “Parlamento 2.0 – Strategie di comunicazione politica in Internet”, non sono certo dei più incoraggianti: “In Italia non sono molti i parlamentari che utilizzano la rete e le diverse piattaforme tecnologiche”. E se lo fanno, non ne sfruttano appieno le potenzialità. Infatti, circa il 25% degli “onorevoli blog” non offre agli utenti la possibilità di interagire e ben il 60% dei parlamentari non ha risposto ai commenti lasciati dai fan/elettori su Facebook nel periodo di rilevazione. Una presenza, quella sul web quindi, che viene percepita più come un obbligo che non come un’opportunità. “Se mi aspettavo questi risultati? Bebbo dire purtroppo sì”, continua la Bentivegna. “Avendo già studiato in passato l’uso della rete in campagna elettorale e quindi il ritardo storico dell’Italia, dei partiti e dei candidati, non mi aspettavo che i parlamentari italiani fossero improvvisamente diventati nativi digitali. Certo mi aspettavo però, o meglio mi aspetto in un prossimo futuro, che qualcosa cambi”. Un ritardo politico, ma anche e soprattutto culturale, favorito dallo storico, intaccabile primato della televisione. “È evidente che ancora oggi la televisione generalista è il mezzo d’informazione che raggiunge un numero più ampio di soggetti: nonostante tutte le innovazioni messe in atto dai nativi digitali, la televisione rimane comunque una fonte di informazione utilizzata dai più; è chiaro che lì si va a costituire un pubblico di dimensioni tali da non poter essere ignorato e sottovalutato”. Internet ha logiche differenti, ma non per questo meno efficaci. “Anche se non consente di arrivare con la stessa velocità ad un pubblico di quelle dimensioni, la rete permette di raggiungere audience che si moltiplicano sempre più, partendo da dimensioni ridotte, creando una sorta di effetto bandwagon e quindi ampliando di molto la platea complessiva. Questo avviene con i social network, in particolar modo con Twitter”, spiega la ricercatrice.
Se è vero che la maggioranza di deputati e senatori non comprende e sfrutta il web e le sue regole, è anche vero che le eccezioni esistono. “Molti parlamentari poco noti – prosegue la Bentivegna –, messi nell’ombra da una politica personalizzata e giocata soprattutto sui leader, in rete ritrovano la visibilità negata dai media tradizionali. Alcuni di questi hanno creato ‘open camera’ su Twitter, raccontando così il lavoro quotidiano di Montecitorio nelle diverse commissioni e sedute, dando quindi informazioni importanti per quello che riguarda la trasparenza del lavoro in parlamento”.
In uno scenario così definito, seppur con qualche sfumatura, c’è un elemento che potrebbe fare la differenza. “Alcuni parlamentari, anche molto attenti alle nuove tecnologie, sostengono che la legge elettorale sia irrilevante sotto questo versante; io non sono d’accordo”, aggiunge la Bentivegna. “Per spiegare ad esempio la differenza di comportamento tra i parlamentari italiani e quelli statunitensi o inglesi, a parità di altre condizioni, ciò che sicuramente fa la differenza è il sistema elettorale. Non è che i parlamentari americani e inglesi siano molto più giovani dei nostri e non è che abbiano una diversa alfabetizzazione tecnologica o una più elevata dimestichezza con le tecnologie. Semplicemente c’è un rapporto diverso con l’elettorato, che viene coltivato anche con la rete, attraverso la rete”.