La Cina rischia di implodere, la previsione della Banca Mondiale - Diritto di critica
Nell’incertezza economico-finanziaria di Stati Uniti ed Europa, la Banca Mondiale ha trovato il tempo per redigere il rapporto “China 2030”, uno studio approfondito sul gigante asiatico che diventerà entro 15 anni o poco più la prima potenza economica mondiale.
Il resoconto, realizzato con il Centro di ricerca per lo Sviluppo di Pechino, conferma il dato che numerosi economisti paventavano già da tempo: se la Cina non aprirà il mercato interno e non migliorerà il mondo del lavoro, la sua crescita rischia di bloccarsi, di ripiegarsi su se stessa.
I prossimi mesi saranno cruciali per una svolta che si augurano anche il Fmi e i vertici finanziari mondiali: «L’attuale modello di sviluppo cinese è insostenibile – ha dichiarato il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick – servono profonde riforme per evitare una brusca inversione di crescita». L’aumento annuale del Pil cinese scenderà, nei prossimi anni, al 5/6 per cento, rispetto al 10 per cento degli ultimi decenni.
Ancora fedele alle scelte economiche che negli anni Ottanta ispirò il leader Deng Xiaoping, e capace di creare ricchezza e benessere senza grandi stravolgimenti politici, la Cina pare essere quindi ad un passo da cambiamenti strutturali e decisioni importanti.
La Banca Mondiale individua in particolare la necessità, per le imprese statali e le stesse banche cinesi, di smuovere il mercato aumentando la competizione e accettando capitali stranieri, favorendo così un certo sviluppo del settore privato.
Ma le altre sfide cruciali suggerite per la nuova Cina riguardano tutti i protagonisti del mercato, dai contadini ai lavoratori, le cui attuali condizioni non consentono loro di godere della ricchezza dell’immenso Paese.
Il divario tra aree rurali e centri urbani in termini di occupazione e protezione sociale è un fenomeno in crescita, e la sterminata manodopera cinese non se la passa bene: «Occorre tanto ripensare la politica dei salari – spiega il rapporto – quanto ricorrere a strumenti come pensioni, assicurazioni mediche e sussidi di disoccupazione».
Si auspica un Welfare più articolato, ma anche istruzione più mirata e lotta all’inquinamento (quest’ultima sfida, però, è già cominciata per molte aziende cinesi che hanno investito in energie rinnovabili e automobili ecologiche).
Le mosse suggerite dal rapporto “China 2030” comportano non pochi rischi per il gigante asiatico: sarebbe come esporre alle intemperie finanziarie internazionali un sistema economico pieno di risorse lavorative, perfettamente rodato e da sempre resistente alla liberalizzazione.
Ma l’aria forse sta già cambiando, la Cina riflette sul suo futuro anche in vista della nuova dirigenza: in autunno Hu Jintao verrà sostituito da Xi Jinping alla presidenza della Repubblica popolare.
Secondo il Financial Times, le banche cinesi hanno ventilato la necessità di aprire agli investimenti esteri, e consentire in maniera maggiore l’acquisto, da parte di compratori stranieri, di azioni, immobili e obbligazioni.
Contro la linea prudente delle istituzioni, anche gli esperti di Pechino che hanno contribuito a redarre il rapporto “China 2030” per stimolare una svolta; trattenere tutti i soldi in Cina ha fatto impennare negli anni i prezzi degli immobili e salire costantemente l’inflazione.
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la cina va fermata , adesso abbiamo capito l’ intenzione dell fmi apertura al capitale straniero, la spolperanno da dentro
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