Posto fisso, il ministro Cancellieri ha ragione ma... - Diritto di critica
L’EDITORIALE – «Gli italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città e magari accanto a mamma e papà, ma occorre fare un salto culturale. […] Il mondo moderno tende sempre più alla flessibilità, bisogna confrontarsi con il mondo che è cambiato e Monti non voleva mancare di rispetto a chi non ha lavoro, è stata una battuta male interpretata ed enfatizzata».
La doccia fredda di realtà e pragmatismo viene non da Mario Monti ma da uno dei suoi ministri più importanti, Annamaria Cancellieri, titolare del Viminale. Che il posto fisso sia una specie in via d’estinzione è ormai chiaro a tutti (ignoto forse solo alla Cgil). Così come la pachidermica “stabilità” che in Italia diviene una flemmatica postura accasciata sulla sedia del dolce farpoco. In poche parole, un impaludamento culturale e civile, con il mito del “postostatale”. Per capire quanto siano vere le parole della Cancellieri basta mettere il naso al di là delle Alpi, spostarsi da casa e uscire in Europa.
Quello che sfugge alla titolare del Viminale, però, è l’interpretazione concreta che in Italia viene fatta della flessibilità, argomento di cui si discute da anni e che nei fatti si sta rivelando – almeno nel nostro Paese – un incentivo al precariato. A livello politico, infatti, si continuano a proporre e sdoganare modelli europei dimenticandosi della sistematica applicazione – riletta e deviata in chiave nostrana – che in Italia viene fatta della “flessibilità”, con imprese quasi tutte medio-piccole e a in difficoltà economica e con un credito bancario bloccato anche in presenza di garanzie: i prestiti vengono fatti a chi comunque ne avrebbe diritto. Senza dimenticare poi i mancati pagamenti da parte dello Stato e delle amministrazioni pubbliche che si traducono in anticipazioni forzate per le imprese.
In un contesto simile, dunque, chi viene licenziato non ha la certezza di un altro posto a stretto giro ed è qui che il meccanismo della tanto lodata flessibilità si inceppa: in mezzo resta il lavoratore, senza certezze né prospettive. Con buona pace dei sindacati che continuano a proteggere pochi – ma buoni – e a dimenticare (per difenderli solo a parole) quei lavoratori “flessibili” che non usufruiranno mai dell’articolo18: i precari e gli operai delle piccole imprese.
Prima di riformare il lavoro in un’ottica “flessibile”, dunque, è necessario puntellare il sistema delle Paese e ridurre i debiti con le pubbliche amministrazioni. La mancata crescita di cui tanto si parla, infatti, fa capo direttamente allo Stato e al sistema bancario: le imprese sono le prime vittime, i lavoratori la carne da macello.
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La Cancellieri non ha ‘ragione ma’. La Cancellieri ha torto marcio. Quando cominceremo a vedere le cose dalla prospettiva dell’essere umano e non da quella dello schiavista? Qual è il problema se un giovane desidera lavorare e vuole farlo non perdendo i contatti sociali con le uniche persone che lo amano veramente. Perché bisogna produrre ricchezza e questa va immancabilmente ad arricchire pochi. La ricchezza esiste perché chi si fa il culo tutti i giorni la produce. Allora perché ne deve beneficiare sono per il 20%. Ed infatti il 20% dei più ricchi possiede l’80% di tutta la ricchezza prodotta, senza per altro aver lavorato granché. Cominciate a vedere le cose dalla giusta prospettiva e vedrette che chi parla dice solo una gran quantità di stupidaggini e non rappresenta chi lavora ma chi sfrutta la gente.
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Anche io sono d’accordo con l’autore! finalmente un commento critico ma equilibrato e non la solita immondizia
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