Se Steve Jobs fosse nato a Napoli - Diritto di critica
di Cinzia Giorgio
Da oggi disponibile in tutte le librerie un volume dal titolo accattivante e provocatorio: “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” per la Sperling & Kupfer. L’autore, Antonio Menna è un giornalista napoletano. Collaboratore del quotidiano II Mattino, è anche autore di un blog molto seguito che porta il suo nome. Il post Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, pubblicato alla morte del fondatore della Apple, è stato letto da oltre cinquecentomila persone, diventando un vero e proprio fenomeno della rete. Notato dalla prestigiosa casa editrice Sperling & Kupfer, il post è poi diventato un libro.
Due ragazzi chiusi in un garage inventano il computer del futuro: leggero, veloce, dal design innovativo, che non si blocca e non prende virus. Se fossimo in America, la storia avrebbe un lieto fine, fatto di soldi, gloria e successo. È andata così a Steve Jobs e alla sua Apple. Ma siamo a Napoli, dove il genio non basta a cambiare un destino. Lo sanno bene Stefano Lavori e Stefano Vozzini, due ragazzi dei Quartieri Spagnoli, che per avviare l’attività e vendere il loro rivoluzionario computer si scontrano con il peggio dell’Italia. Antonio Menna parla a Diritto di Critica di come sia nata l’idea di questo originale volume dalla lettura scorrevole, e ci svela perché da noi la Apple non sarebbe mai nata.
In Italia se sei un genio fai la fame. Crede che sia solo un problema di cultura, di malfunzionamento della burocrazia e della politica o di un retaggio fatto di nepotismo, raccomandazioni e malcostume?
Credo che alcuni meccanismi del sistema Italia siano inceppati da tempo. Raramente si riesce a liberare il merito, il valore oggettivo, la qualità. Troppo spesso contano, invece, i legami personali e familiari, l’appartenenza a cricche, a gruppi di potere. I quali hanno una logica subdola: portano avanti solo chi è sotto la loro stessa media, per non correre rischi interni. I gruppi, così selezionano paradossalmente sul demerito. Più vali e più nemici hai. Questa è una legge drammatica, molto italiana, che porta spesso gente inadeguata in luoghi importanti, abbassando la qualità generale del Paese.
Stefano Lavori e Stefano Vozzini sono i due ragazzi dei quartieri spagnoli protagonisti del suo libro. Come li definirebbe in poche parole?
Sono due talenti. Diversi l’uno dall’altro. Lavori è il genio dell’informatica ed è più duro, più determinato, più cocciuto. Vozzini è il genio del design ed è più sensibile ma anche più arrendevole. I due, insieme, sono una bella miscela, di amicizia ma anche di fiducia reciproca. Provano a mettere su una piccola ditta, per costruire il computer del futuro, che “scasserà”. Si buttano nell’avventura senza pensarci troppo. Ma si rendono conto, ben presto, che non basta avere talento e determinazione. Gli ostacoli sono tanti. Provano a superarli, uno per uno, ma la sensazione è che monti, ad ogni bracciata, un’onda sempre più alta.
In cosa la società napoletana è ancora bloccata rispetto a quella che ha permesso a Steve Jobs di emergere?
La storia che racconto è ambientata a Napoli perché vivo in questa città e la conosco. Ma per due terzi poteva svolgersi anche in qualunque altro posto italiano. Gli ostacoli che incontrano i due, infatti, sono in parte comuni a tutto il Paese. L’accesso al credito, innanzitutto. Chi aiuta due talenti, in Italia? Chi gli dà i soldi per cominciare un’attività? Nessuno. Se non si ha un capitale proprio, o un patrimonio familiare da mettere in garanzia, non parti proprio. Nessuno investe su di te, nessuno scommette, nessuno azzarda. Anche se sei un genio. Se poi riesci a mettere insieme qualche soldo, se ne va subito in costi iniziali. Notaio, commercialista, certificazioni, messa a norma dei locali, contributi previdenziali, eccetera. Se poi riesci comunque a sostenere tutto e a partire, ci sono la corruzione, l’evasione fiscale dei tuoi concorrenti, la selva di regole incomprensibili nella quale districarsi. Infine, la camorra. Quest’ultimo è l’unico dato che forse non si trova ovunque. Ma in linea di massima è una lotta selvaggia contro mille problemi.
Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, cosa sarebbe diventato? come e con quali difficoltà avrebbe creato la sua azienda?
Credo che le potenzialità degli italiani, e dei napoletani, siano altissime. Ma bisogna creare condizioni adeguate per farle fruttare. Jobs, se fosse davvero nato a Napoli, avrebbe avuto, forse, un talento ancora maggiore, stimolato da un contesto creativo forse migliore degli Usa. Ma avrebbe, di sicuro, incontrato maggiori ostacoli. Sarebbe andato avanti lo stesso? Sarebbe fuggito? Non lo so. Voglio credere che sarebbe rimasto e avrebbe lottato per risolvere i problemi. Che si possono risolvere, ma bisogna parlarne. Forse un libro può servire.
Ma l’ottimismo non abbandona la mai la popolazione del Sud, lei stesso ne è un esempio: giornalista, collaboratore di varie riviste e blogger. Quali difficoltà relative al” luogo di azione” ha incontrato nella sua carriera?
Io sono nato a Potenza, da genitori napoletani. Sono rimasto in quella città pochi anni. Poi siamo tornati tutti a Napoli e qui vivo ancora. Per certi versi sono stato fortunato. Vivere in una grande città ti dà più opportunità. Ho potuto studiare agevolmente, laurearmi, fare le prime esperienze professionali. Poi arrivi ad un punto morto. Le difficoltà sono legate alla mancanza di opportunità. Nel mio settore, quello della comunicazione, la cosa si sente molto. Pochi giornali, pochi strumenti. E meccanismi di selezione torbidi, basati sul clientelismo o sul familismo più che sul merito.
Il suo libro “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” esce oggi in tutte le librerie. Quali consigli darebbe a un ragazzo che lo compra per capire come fare a cambiare le cose in Italia e al Sud in particolare?
Io gli consiglio di non avere paura di parlare dei problemi. Conoscere i problemi, parlarne, è il primo passo per risolverli. Qualcuno mi ha contestato che, con il post, e con il libro, io metto l’Italia e Napoli in cattiva luce. È la solita storia. C’è chi pensa che la realtà vada occultata. Che le cose è meglio non dirle. Io la penso diversamente. La cattiva luce sull’Italia e su Napoli arriva dai problemi oggettivi e non da chi li racconta. Parlarne, invece, è necessario al cambiamento. A un ragazzo consiglierei di tenersi sempre informato, di guardare la realtà con coraggio, di non nascondere, nemmeno a se stesso, quali sono le difficoltà. E poi provare ad affrontarle. Il cambiamento parte dalla consapevolezza.