Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 23, 2024

Scroll to top

Top

Quando i coloni israeliani se la prendono con i bambini - Diritto di critica

Quando i coloni israeliani se la prendono con i bambini

Scritto per noi da Francesco Mandolini

Immaginate solo per un momento che i vostri figli oggi non tornino a casa da scuola alla solita ora per pranzo, ma molto più tardi, in stato di choc e con evidenti segni di percosse su tutto il corpo. Quale sarebbe la reazione di qualsiasi genitore al mondo? In Cisgiordania purtroppo terribili angherie di questo genere sui bambini sono diventate quasi una consuetudine.

I bambini vittime dei coloni. Nel villaggio di At-Tuwani, in piena West Bank (territorio palestinese), a partire dal 1997 alcuni coloni israeliani hanno illegalmente preso possesso di un appezzamento di terreno tra Tuwani e un villaggio limitrofo ancora più piccolo, creando quello che viene chiamato l’insediamento di Havat Ma’on; insediamento che i bambini palestinesi sono costretti ad attraversare ogni giorno per recarsi a scuola (si tratta di una strada di poco meno di un chilometro) diventando bersaglio delle violenze dei coloni (fatte di lanci di oggetti, sassaiole e, nei casi più estremi, anche di rapimenti e percosse). Tutto nel silenzio della comunità internazionale che, pur ritenendo illegali gli insediamenti, non ha mai usato misure di enforcement contro il governo israeliano il quale, oltre a non condannare questi atti, offre anche incredibili incentivi e sgravi fiscali a tutti coloro i quali vogliano trasferirsi lì.

La legge del più forte. “La cosa è andata avanti in silenzio fino al 2004 quando, a seguito del rapimento e del pestaggio di una bambina di soli 8 anni, è stato necessario ricorrere ad un intervento di ricostruzione facciale per la piccola”, spiegano Mirco Tomasi ed Elisa Reschini (di 27 e 29 anni), funzionari della Commissione e del Parlamento europei, recatisi recentemente sul luogo con la onlus Assopace. “Purtroppo secondo la legislazione israeliana un palestinese, anche dopo aver ricevuto un’offesa di questa portata, non può fare causa ad un colone in un processo civile. L’unica speranza che ha è appellarsi alla corte suprema affermando che i coloni occupano illegalmente un loro territorio. Anche in quel caso però, generalmente viene richiesto ai palestinesi un documento di proprietà del terreno risalente ai tempi dell’impero ottomano; documento che o è andato perso o, peggio ancora, è tenuto ancora oggi dal governo turco, che fu per anni alleato di Israele.

I coloni aggrediscono anche i volontari delle onlus. Dopo il triste evento del 2004 le associazioni internazionali come Assopace sono andate a Tuwani con operazioni volte principalmente ad accompagnare i bambini nel tragitto casa-scuola e assicurare così protezione dalle violenze dei coloni i quali, si pensava, difficilmente avrebbero attaccato anche gli internazionali. Invece, qualche anno fa, a farne le spese è stato un volontario il quale però, essendo inglese e non palestinese, ha potuto fare causa ai coloni per via del trauma cranico che gli avevano procurato.

Bambini con la scorta. La risposta del governo israeliano fu quella di bandire gli internazionali da quella strada e di mettere “a protezione” dei bambini una scorta militare la quale, invece di scortarli a piedi, li segue ogni giorno con una camionetta (come da foto), cosa che indubitatamente darà a questi bambini una visione distorta degli israeliani (della serie “o ci picchiano o ci scortano gli stessi militari che poi andranno ad arrestare i nostri genitori senza motivo”) tale da poter creare pericolose sacche d’odio nel futuro.

“L’unica strada è la non-violenza”. Elisa, che dal 2008 è già stata quattro volte nella West Bank, dice di “aver visto la situazione peggiorare sempre più a causa di politiche che non possono che chiamarsi razziste da parte di Israele”. “A riservare le sorprese maggiori” conclude invece Mirco “sono però i genitori di questi poveri bambini che, in una situazione così estrema, hanno capito che l’unica soluzione è la non-violenza. Rimanere lì nelle loro terre, lavorarle e non chiedere aiuto agli internazionali ma voler che questi raccontino al mondo ciò che hanno visto, questo è il loro motto. Quanti genitori al mondo riuscirebbero a mandare un tale messaggio di pace e civiltà dopo le violenze che i loro figli sono costretti ad affrontare quotidianamente solo per andare a scuola?”

Foto di Elisa Reschini

Comments