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Diritto di critica | November 24, 2024

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Gli Stati Uniti si ritirano dall'Iraq ma la stabilità è lontana - Diritto di critica

Gli Stati Uniti si ritirano dall’Iraq ma la stabilità è lontana

Dopo quasi nove anni, 4.500 soldati americani caduti, 32mila feriti e più di 800 miliardi di dollari spesi, gli Stati Uniti abbandonano ufficialmente il conflitto in Iraq. La bandiera a stelle e strisce è stata ammainata dal segretario della Difesa Leon Panetta, al termine della solenne cerimonia a Baghdad, alla quale hanno partecipato diplomatici e alti funzionari militari. “Un conflitto che è valso il sacrificio della nazione – ha sottolineato Panetta -, per la democrazia dell’Iraq. Ripartiremo con l’orgoglio di chi si è sacrificato, aiutando il popolo iracheno a combattere e sconfiggere la tirannia, offrendo una speranza di prosperità e pace alle future generazioni di questo paese”.

Gli Stati Uniti si ritirano dal conflitto da vincitori parziali. Saddam Hussein è stato spodestato, ma i problemi all’interno del paese permangono. “Molto sangue è stato versato – ha ammesso il segretario della Difesa Panetta –, ma questo non è stato vano. La nostra missione consisteva nel rendere il paese sovrano e indipendente, in grado di governare se stesso”. L’attualità, però, sembra smentire i buoni propositi americani. Si susseguono gli attentati, nonostante dal 2010 ci sia un nuovo governo guidato dal premier sciita Nuri Al Maliki. Solo nel mese di agosto furono 239 i morti registrati e gli atti terroristici sono continuati nei mesi successivi. L’ultimo è datato 5 dicembre 2011: almeno 20 persone, tra le quali molte donne e bambini, sono rimaste uccise in un duplice attentato contro gli sciiti. Gli Stati Uniti, forti del consenso degli alleati, manterranno una forte presenza diplomatica in Iraq, oltre ad un cospicuo contingente militare.

Fino a ieri erano due le basi americane con 4mila soldati, un’inezia se si pensa che nel 2007 (durante l’amministrazione Bush) le installazioni militari erano 500 con più di 170mila truppe. Quello era il periodo di massima criticità, quando la violenza e il settarismo infuriavano nel paese. Il ritiro dell’esercito statunitense desta un po’ di preoccupazione, tra le forze militari irachene, e potrebbe essere prematuro. La sicurezza interna è in fase di completamento, soprattutto per le operazioni di sviluppo della logistica, della sorveglianza e delle attività di intelligence. Nonostante le parole di Obama (“Tutte le truppe americane a casa per Natale”), almeno 4mila soldati rimarranno in Kuwait per diversi mesi, con funzione di sorveglianza e di ‘pronto intervento’, qualora si rendesse necessario.

Il presidente degli Stati Uniti ha incontro il premier iracheno Nouri al-Maliki all’inizio della settimana promettendo di impegnarsi per la transizione politica dell’Iraq. Il ritiro delle truppe statunitense arriva per Obama in un momento politico opportuno, in vista della corsa presidenziale del 2012. Al generale Lloyd Austin è affidato il comando delle rimanenti operazioni militari in Iraq. Nel corso del 2011 ha dismesso centinaia di basi e avamposti di combattimento, gestendo circa 50mila soldati e addestrando le forze di sicurezza irachene con campagne di formazione, assistenza e anti-terrorismo. Nei prossimi giorni, prima della fine dell’anno, le truppe americane lasceranno ordinatamente l’Iraq con voli di linea, contrariamente a quanto avvenne il 20 marzo del 2003, agli inizi dell’invasione americana, quando i militari raggiunsero con ogni mezzo il teatro di guerra iracheno.