Via Poma: l’autopsia su Simonetta e quelle tracce di saliva (che mancano) - Diritto di critica
La compatibilità dell’arcata dentaria di Raniero Busco con il morso sul seno sinistro di Simonetta Cesaroni. Una delle prove schiaccianti per l’accusa, insieme al Dna dell’ex fidanzato ritrovato sul corpetto e sul reggiseno della vittima, potrebbe rivelarsi inconsistente. Anche perché, dopo l’autopsia, nella quale si faceva riferimento a un ‘presunto morso’ sul seno di Simonetta, il pm Pietro Catalani non ravvisò la necessità di una rilevazione di saliva, per far luce sull’identità dell’assassino. Un errore che ha, di fatto, complicato le indagini.
“Il cadavere – si legge nell’autopsia del dott. Ozrem Carella Prada – veste un reggiseno color rosa pallido, abbassato in modo da lasciare fuoriuscire la parte superiore dei seni e i relativi capezzoli, mentre la bretellina destra è arrotolata e scende all’altezza dell’omero. L’indumento è macchiato di sangue all’altezza delle bretelline e del seno sinistro, nonché alla parte posteriore”. Nel referto medico non si fa riferimento alle tracce di sangue ritrovate sul reggiseno e al relativo gruppo ematico. “La vittima – scrive Prada – indossa, inoltre, calzini di color bianco con tracce di sporco alle piante dei piedi. Sulla regione epigastrica poggia un top di colore bianco merlettato e sbottonato. Al polso sinistro è assicurato un orologio con cinturino in pelle al momento funzionante”. L’orologio è stato mai analizzato?
E a proposito dell’orario della morte di Simonetta Cesaroni, altro elemento che sarà rivalutato dagli inquirenti in sede di Appello, il medico non lascia adito a dubbi: “Sulla base degli elementi valutativi – si legge nel referto medico -, che tengono conto del rigor mortis, l’epoca della morte di Simonetta fu fatta risalire a circa 7-12 ore prima del sopralluogo del medico legale, effettuato alle ore 2 circa dell’8 agosto 1990. Quindi, la ragazza dovrebbe essere stata uccisa tra le ore 14 e le 19 del giorno precedente. Le ferite inferte – precisa il dott. Prada –, attraverso un’arma bianca, furono in tutto 30, di cui una transfossa, quella all’emicollo sinistro”.
Dal 2004, il pm Roberto Cavallone, succeduto a Settembrino Nebbioso, decise di ripercorrere le fasi passate dell’investigazione “con occhi e metodi nuovi”. Nell’indagine fu coinvolto anche il Ris di Parma. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il pm Roberto Cavallone consegnarono al colonnello Garofano i pochi indumenti che Simonetta aveva indosso al momento del delitto: top, reggiseno, calze e le scarpe. C’erano anche un bicchiere, una tazzina, un mozzicone di sigaretta che erano stati repertati dalla magistratura nel 1990. La particolarità è che la mattina del 4 agosto, nell’ufficio dell’Aiag di Luigina Berrettini, furono ritrovati due mozziconi di sigaretta (uno con filtro bianco e l’altro color paglierino). Il dato strano è che la stessa Berrettini e la collega Faustini non fumavano. I mozziconi di sigaretta sono da ricondurre, quindi, a due persone che 3 giorni prima del delitto erano negli uffici degli Ostelli della Gioventù e di cui non è stata rivelata l’identità.
Furono analizzati dal Ris anche il fermaglio per i capelli di Simonetta, insieme all’ombrello rosa, al borsellino, all’orologio che la ragazza aveva con sé, al tagliacarte (la possibile arma del delitto), al quadro, al tavolo della stanza dove avvenne l’omicidio e al vetro dell’ascensore della scala B (trovato sporco di sangue nel ’90). Gli indumenti furono ritrovati nell’obitorio originario, dove nel 1990 fu eseguita l’autopsia sul corpo di Simonetta e dall’inizio del processo si discute sull’eventuale contaminazione, con altri indumenti, dei reperti nel corso del tempo. Nell’appartamento dell’Aiag quella notte del 7 agosto, gli inquirenti non rilevarono tracce di trascinamento, sgocciolamento, né segni di lotta nelle altre stanze e nella camera dove lavorava la Cesaroni. La stessa porta d’ingresso non presentò segni di effrazione. Ciò significa che Simonetta conosceva l’assassino oppure che l’omicida possedeva un mazzo di chiavi proprio.
La scarsità o l’assenza di tracce furono dovute anche alla volontà, da parte di qualcuno, di pulire e cancellare anche i segni del sudore o di altra natura. La giovane fu colpita quando era nuda e priva di sensi. Che la morte sia sopraggiunta in un tempo rapido (probabilmente dopo svenimento) è dimostrato dall’assoluta mancanza sul corpo della Cesaroni di lesioni ‘da difesa’, con le unghie delle mani perfettamente curate e che non presentavano alcun segno di traumaticità. Vi fu, poi, il tentativo di far scomparire le macchie di sangue sul pavimento, con lo strofinio degli indumenti della vittima, prima di simulare il furto degli oggetti preziosi della ragazza. A questo proposito, c’è da chiedersi perché la giovane si recò al lavoro il 7 agosto (in periodo di ferie) con indosso ornamenti preziosi. Gli esami chimici effettuati sul corpo della Cesaroni esclusero, inoltre, la presenza di alcol e stupefacenti nel sangue.
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Simonetta Cesaroni: un altro di quei delitti che un bravo carabiniere di vecchio stampo avrebbe risolto in poco tempo. Classico delitto pulsionale (agito improvviso e incontrollabile) come dimostrano le modalità di aggressione e la tipologia dei colpi inferti. Simonetta apri’ la porta a qualcuno che conosceva o che riconobbe. Probabilmente si tolse le scarpe per avvicinarsi allo spioncino (ecco perchè le calzature furono rinvenute in ordine, come se la vittima le avesse spontaneamente sfilate). Oltre l’uscio riconobbe qualcuno, che potrebbe essere stata anche una persona incrociata poco prima in ascensore.L’assassino comunque dimostro’ di conoscere l’interno del condominio nel quale si mosse con disinvoltura. Per ripulirsi dal sangue, utilizzo’ la fontana del sottotetto di cui conosceva l’ubicazione. Tutto questo Busco non lo sapeva né poteva saperlo. Busco aveva una relazione sentimentale con Simonetta, che frequentava con regolarità da tempo. Non aveva alcun motivo per aggredire sessualmente la propria compagna, per altro con modalità tipiche dell’aggressore maschio impotente. Non aveva motivo per attraversare di corsa la città di Roma nel bollore di un pomeriggio agostano, correndo pesanti rischi ,per uccidere- inscenando un omicidio senza premeditazione- la propria ragazza. Le prove a carico di Busco,labili, controverse,insufficienti, mascherano le profonde carenze delle indagini.
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E Delli Priscoli che fine ha fatto?Come mai nessuno dice che l’alto magistrato Delli Priscoli ha impedito di girare il film sul delitto di Via Poma nella palazzina in cui questo è avvenuto poiché allora fu, tra i sospettati, anche suo figlio?Perché non si parla del debito morale di Mario Delli Priscoli con la procura di Roma alla quale era grato perché veva lasciato il figlio Francesco fuori dalle indagini sull’omicidio? (Leggete il caso Genchi di Edoardo Montolli) Dato che quel giorno, in effetti, Francesco Delli Priscoli era stato visto uscire dal portinaio da uno dei palazzi a ferro di cavallo di via Poma. Perché a nessuno viene in mente di fare il test del DNA anche a Francesco Delli Priscoli? Di cosa ha paura il magistrato? Spero vivamente sia fatta chiarezza su questa storia
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